martedì 3 settembre 2013

L'AQUILA IL CORAGGIO DI TORNARE A NASCERE


Da quando avvenne il terremoto nell'aprile di quattro anni fa, sono andato all'Aquila quattro volte.
La prima, quindici giorni dopo che avvenne il tragicissimo evento: vidi una citta' ed una comunita' in ginocchio, che, disorientata, non sapeva cosa doveva fare. Un numero rilevante di case crollate o parzialmente devastate con parti crepate sul punto di cadere giu' anch'esse e la viabilita' interrotta quasi totalmente. Il centro era tutto transennato ed era impossibile accedervi, anche perche' guardato a vista dai militari. Ma dal di fuori se ne intuiva lo sciempio: edifici religiosi e pubblico-funzionali, irriconoscibili e seriamente danneggiati, scoperchiati, con muri crollati e sul punto di cadere ancora.
E la bella popolazione, che orgogliosa dfella propria citta', che passeggiava tra i bar, i caffe' importanti del corso, i ristoranti e le accattivanti vetrine dei negozi importanti, sparita, non c’era piu' nulla. Non piu' aria gioiosa di festa dei sabati e delle domeniche, dove l'aquilano andava in simbiosi con le belle cose della citta', ma solo tristezza, disperazione ed sentore di morte.
La parte piu' periferica della citta' era costellata in accampamenti e tendopoli, dove la gente, cui era stata strappata la propria casa dal tremendo sisma, stazionava, indipendentemente dalle condizioni atmosferiche.
La seconda volta che andai, circa qualche mese dopo, la situazione era ancora in stallo, non era stata approntata nessuna strategia di ricostruzione e una parte della gente colpita alloggiava in container, messi su in fretta e suscettibili alle avverse condizioni atmosferiche. Nell’occasione passai a visitare anche paesetti limitrofi, come Paganica, Onna e San Benedetto e mi avvidi che tutto era distrutto e raso al suolo. La gente era ancora disperata e non sapeva come ricominciare. Mancava tutto, materie prime, vettovagliamenti e soprattutto fondi per intraprendere qualcosa di concreto per la ricostruzione. Si’, Berlusconi aveva fatto ricostruire un certo numero di case, in pochissimo tempo, ma non bastava.
All’Aquila il centro era ancora transennato e non poteva passare nessuno liberamente, solo le persone autorizzate.
La penultima volta, sono passato per il centro che era stato riaperto, ma c’era tanto vuoto e tristezza: tutti i negozi, i bar ed i ristoranti erano chiusi e nei loro interni s’intravedevano macerie e palificazioni di sostegno per evitare eventuali crolli di muri e soffitti. L’Aquila sembrava quindi una citta’ destinata ad una  morte inesorabile, si aveva l’impressione che fosse difficile ricostruirla e ristrutturarla, specialmente nella parte centrale. La gente che transitava nel corso sembravano turisti, che stessero visitando antiche vestigia di una citta’ del passato. Ormai l’Aquila sembrava appartenere alla storia ed al passato, chiusa al presente ed al futuro.
Anche i quartieri periferici erano completamente ancora disastrati, come constatai, accompagnato da una amica in macchina. Facemmo tutto il giro esterno al centro storico e sembrava che certe zone avessero perso la loro identita’.
Poi sono mancato all’appuntamento per ben quasi due anni, ed a Roma mi arrivavano ogni tanto notizie contrastanti. Sui giornali leggevo articoli, in cui si diceva che sarebbe stato difficile riportare L’Aquila agli splendori di un tempo e che si sarebbe voluto ricostruire una nuova citta’, in un altro sito, anche se non molto distante.
Ma l’Italia non poteva perdere questa citta’ ricca di storia, cultura e tradizioni...
Finche’ non e’ giunto il sabato della scorsa settimana,quando ho deciso, di passare per L’Aquila, dovendo fare un giro che mi doveva portare dalle parti di Ascoli.
Una volta sceso dal pullman nel terminal, ancora tenuto provvisorio e semicadente, decido di dirigermi verso il centro, passando per S. Bernardino e...allora la mia sorpresa e’ stata grande. Un gran numero di palazzi e costruzioni erano tutte circondate da impalcature e molti operai stavano lavorando per farli tornare alla piena efficienza, importanti bar, ristoranti e negozi avevano riaperto ed il corso sembrava ricominciare a tingersi di vitalita’ come una volta. La piazza centrale era tornata alla normalita’ e le due chiese avevano ritrovato la loro funzionalita’, con i restauri effettuati.
Quello che ho sentito dentro, una sensazione a pelle, che gli abitanti stessero usando tutte le loro energie per riportare la citta’ a quella di un tempo. Una sorpresa gradevolissima, che mi ha fatto sperare che entro il termine, magari, di un paio d’anni il centro storico riacquisti l’aspetto che merita. Poi, in secondo tempo, ci sara’ da ricostruire la periferia e ridare una vera casa ai disastrati, ma credo che anche questo non avverra’ molto tardi.
Tutto questo, grazie al coraggio e alla voglia di risorgere di questa operosa gente abruzzese, che non si e’ persa nel nulla, ma si e’ rimboccata le maniche.
Certo la ricostruzione non procede speditissima, come fu per il Friuli (li’ la gente e’ piu’ ricca ed ha un carattere indomabile), ma il popolo aquilano non e’ tanto da meno. La laboriosita’, l’onesta’ e l’abnegazione di questa gente restituiranno all’Italia una piccola perla che merita di essere di nuovo incastonata al suo posto tra i moltissimi e bellissimi paesaggi della nostra patria.

Paolo Carlizza.

martedì 20 luglio 2010

Lo sviluppo sostenibile







Nell'ordine:
Figura 1
Figura 2
Figura A






LO SVILUPPO SOSTENIBILE


1.Introduzione.

Fra tutte le discipline morali della Chiesa Cattolica, ne esiste una che tratta i problemi antropologici, sociali ed economici: la Dottrina Sociale della Chiesa.
Questa "branca etica" non e' il risultato di secoli di esperienze e riflessioni del pensiero cristiano, nel corso della bimillenaria storia della Chiesa Cattolica, ma e' nata alla meta' dell'Ottocento, per risolvere i problemi di una societa' che stava cambiando rapidamente.
Infatti da una economia rurale si stava entrando in una fase totalmente diversa, ossia stava nascendo la societa' industriale.
La Chiesa, in particolar modo, quella francese, che sino allora aveva promosso solo attivita' assistenziale nei riguardi dei piu' deboli e i piu' poveri, si rende conto che vi sono altre realta': da una parte, il rafforzamento del capitalismo e del liberismo economico, che si basava su leggi di mercato libere, ma quasi non sempre etiche, con un'equilibrio che dipendeva solo dalla legge di domanda ed offerta, dall'altra, la nascita del comunismo e del socialismo.
In piu', nuove ed inaspettate realta' come la proprieta' privata, le lotte di classe, lo sfruttamentio degli operai, sia nei tempi di lavoro, sia nella risoluzione dei salari.
Davanti a tutto cio', la Chiesa si trovava stretta da tutte queste componenti sociali e non riusciva a dare la sua voce autorevole, nel risolvere i problemi contemporanei, sotto il profilo dell'etica, del connubio Fides et Ratio e del Vangelo soprattutto.
E poi bisogna ricodare , che il cambiamento della societa' anche se graduale era di caratteristiche radicali: separazione tra Stato e Chiesa e nascita di una realta' di laicato, che non ammetteva l'etica nella gestione dello Stato.
Quindi la Chiesa doveva cercare nuovi strumenti per riportare la sua voce autorevole nel campo antropologico, economico e sociale, cercando di non fare perdere la realta' del Vangelo: societa' moderna si', progresso si, evoluzione si', ma sempre rapportandosi alla Parola di Dio. E la societa' in generale, non doveva perdere la dimensione etica, per non darsi scriteriatamente al secolarismo piu' radicale.
E la reazione venne nel 1891, per merito dell'allora grandissimo Papa Leone XIII, che pubblica l'enciclica famosa "Rerum Novarum", che con una struttura interdisciplinare (fondativa, direttiva e deliberativa) mette i puntini sulle i, riguardo ai nuovi problemi sociali: finalmente, era nata la Dottrina Sociale della Chiesa.
Evidentemente nel '900 e dopo, la societa' era cambiata fortemente con la scomparsa della ruralizzazione, con l'intensificazione della industrializzazione, con il progressivo estendersi dei centri urbani e la migrazione delle persone nelle citta' per trovare un lavoro, la nascita di associazioni corporative nel lavoro e l'affermazione del diritto di sciopero;
per questo nella Chiesa, tutti i Papi successivi a Leone XIII si adoperarono, mediante l’emissione di altre encicliche ad aggiornare i contenuti della Dottrina Sociale della Chiesa, che si adattava sempre giustamente ai tempi, ma con il filo conduttore legato sempre ai principi del Vangelo.
Grandi personaggi in questo campo furono i papi Pio XI e poi Giovanni XXIII, Paolo VI, il non ancora troppo compianto Giovanni Paolo II e infine l'attuale pontefice Benedetto XVI.
E nascono le encicliche Quadragesimo Annus (Pio XI), Mater Magistra et Pacem in Terris (Giovanni XIII), Gaudium et Spes (e' una Costituzione Apostolica questa e non un'enciclica), Populorum Progressio e Octogesima Adveniens di Paolo VI, Centesimus Annus et Labrorem Exercens (Giovanni Paolo II) en infine Deus Caritas est e Caritas in Veritate (Benedetto XVI).

2.Antropologia ed Ecologia.

Tutto parte dalla Creazione. Dio crea l'uomo e lo nomina, assieme alla donna (uomo+donna=Adamo), Suo plenipotenziario, ossia l'uomo ha la facolta' di gestire il creato, in rappresentanza di Dio e compiere il Suo progetto operando nel mondo e soprattutto nella natura.
La natura, come l'uomo e' cosa di Dio, nel senso che e' prodotto della Sua creazione.
L'uomo e' rivestito di dignita' spirituale, poiche' creatura del Padre e anche la natura e' Santa, in quanto derivante dalla creazione. L'equilibrio si rompe nel peccato originale, quando il male corrompe l'uomo e la natura stessa. Ma l'equilibrio si ricompone nella Redenzione dove tutto viene purificato dal peccato.
Ma questa purificazione deve sempre rinnovarsi in funzione escatologica, per l'uomo attraverso i sacramenti, per la natura, per mezzo degli interventi etici dell'uomo.
Il rapporto correrto dell'uomo nei riguardi di se stesso e la natura, in fuzione etica, e' chiamato dalla Chiesa Antropologia.
L'uomo antropologico e' veramente un uomo, che realizza il progetto di Dio, agisce e lavora in funzione escatologica, in una natura, che lo asseconda e che non deve essere contaminata.
L'uomo puo' e deve servirsi della natura e godere dei suoi beni e il godimento di questi e' esteso a tutti i rappresentanti del genere umano. nessuno puo' appropriarsi dei beni della natura piu' di quanto ne abbia diritto, ma si deve imparare a far partecipare tutti a quanto Dio ci ha dato.
Come dice San Tommaso, tutti a seconda della nostra intraprendenza e capacita', dobbiamo usufruire di quello che Dio ci ha donato e abbiamo il dovere di aiutare quelli che sono meno capaci di noi ed i piu' poveri.La proprieta' privata e' ammessa, ma e' solo ai fini del bene comune, del quale tutti abbiamo il diritto di godere.
Antropologia e' giustizia sociale, alla luce del Vangelo, ma e' anche capacita' di vivere in armonia divina nella natura.

3.Lo Sviluppo sostenibile.

Per vivere in maniera dignitosa, dobbiamo vivere una sana vita sociale, in una sana natura.
Non abbiamo il diritto di violentarla, ne' con i prodotti e surrogati di una filosofia tecnologica, che a volte si mostra meschina ed egoista e piena di sordidi interessi, dove comanda il profitto, ne' con atti vandalici e privi di rispetto.
Una natura sana serve, perche' cosi' si vive con meno malattie ed alterazioni biologiche, serve, perche’' sani noi, possiamo lavorare bene al progetto di Dio.
L'uomo deve lavorare, svolgere attivita' nel miglior habitat possibile, affiche' possa concentrarsi nello sviluppo del progetto di Dio.
Bisogna evitare che la dignita' della persona diventi un'opinione, un frutto di una mentalita’ relativistica e pluralistica, e la tolleranza su tante questioni biologiche sia quasi un diritto acquisito. Occorre indirizzare la bioetica e la bioingegneria verso giusti equilibri e non bisogna distruggere il patrimonio umano; altrimenti e' la fine e si va indistintamente contro Dio.
Occorre vivere e lavorare in maniera sana in un ambiente sano.
Per questo, negli ultimi quarant'anni l'uomo di buona volonta' si e' mosso per guadagnare i suoi sacrosanti diritti all'ambiente.
Ricordiamo che i diritti all'ambiente sono tuttora senza una regolamentazione strettamente giuridica, nel senso che chi offende l'ambiente non e' perseguibile davanti ad un giudice, ma tuttavia la produzione di tante normative che regolano i diritti ambientali possono essere sufficienti ad ottenere gli scopi di difesa dell'habitat, in cui viviamo.
L'ONU negli anni '70 si e' occupata del problema ambientale, promuovendo le conferenze di Stoccolma (1972) e di Rio de Janeiro (1992).
In queste sedi, tutti gli stati presenti sono stati messi a confronto per risolvere il problema di un habitat modiale migliore, devastato come si sa da grandi deforestazioni, da inquinamenti idrici e dell'atmosfera e da comportamenti termici, di tendenza piu’ che anomala.
Nella conferenza di Rio, addirittura si lavoro’, per fissare gli aspetti giuridici sulla difesa e sul diritto ambientale, ma molte industrie mondiali si sono opposte, per ovvi motivi, dato che non sarebbero riuscite mai ad evitare inquinamenti, passibili di penali.
L'obbiettivo fondamentale del punto di arrivo di queste conferenze e' stato quello di ottenere un regime di vita etico-umana, che s'identificasse, con lo Sviluppo Sostenibile; infatti, si deve cercare di vivere, lavorare, agire in un ambiente sano, il piu' possibile puro da ogni sorta di scorie e d'inquinamento a tutti i livelli, che assicuri una esistenza essenzialmente antropologica, sociale ed economica, di livello soddisfacente per tutti e che sia durevole negli anni e nelle generazioni a venire. Quindi devono esistere monitoraggi ed indici sociali, che mantengano e prevengano il tutto dal degrado generale, in senso sempre economico, sociale ed antropologico.
Questo e' quindi lo sviluppo sostenibile, che deriva sopratutto dal diritto all'ambiente, che deve avere ogni uomo e bisogna fare del tutto, per mantenere uno status quo dignitoso.
Esistono infatti, due tipi di due sviluppo:

- Entropico, dove, tutto alla fine si degrada e non si recupera piu' niente, dello stato di partenza.


- Sostenibile, dove c'e' la collaborazione totale a conservare nel tempo un livello di vita adeguato, in un ambiente naturalmente adeguato

Nel 1997 viene indetto l'importante protocollo di Kyoto , con il quale dovevano raggiungersi due obbiettivi:

- il risparmio energetico, attraverso l'ottimizzazione sia in fase produttiva, che negli usi finali (impianti, edifici, sistemi ad alta efficienza, nonche' educazione al consumo consapevole)

- lo sviluppo delle fonti alternativa di energia, al posto del consumo massiccio dei combustibili fossili.

Nell'ambito piu' tecnico e' stata emessa, per esempio, la nuova norma di certificazione ISO 9004. Questa e' definita come "sostenibile", poiche' ha la capacita' di controllare processi, che sviluppano le proprie prestazioni per un lungo periodo di tempo, attraverso anche un bilanciamento degli interessi economico-finanziari con quelli ambientali.

Nella Figura A all'inizio dell'articolo e' rappresentato lo Sviluppo Sostenibile, il cui stato e' al centro di tutte le intersezioni delle circonferenze-insieme.Il Sociale e l'Economia devono portare ad uno stato di equita', mentre un ambiente valido deve essere sostenuto da una corretta azione sociale,così come una politica economica valida, deve essere sostenuta da una economia efficace e realizzabile.L'intersezione di queste tre azioni sociali da' lo Sviluppo Sostenibile.

Inoltre, sono riportate in Fig. 1 e 2, sempre all'inizio di questo scritto, anche le situazioni di sviluppo entropico o tradizionale e di sviluppo sostenibile.

Come si vede uno sviluppo tradizionale corre irrimedialmente verso una situazione di crisi, mentre lo sviluppo sostenibile allontana il percorso dell'umanita' dalla crisi, cercando di risollevarla verso mete migliori.
Il compito della Dottrina Sociale della Chiesa e' piu' che mai impegnativo oggi giorno e ci si augura sempre di piu' la collaborazione di tutte le componenti ideologiche e gli strati sociali, per definire le soluzioni piu' convincenti per assicurare un equilibrio antropologio o ecologico, sociale ed economico nel nostro amato pianeta.


RIFERIMENTI.


DOCUMENTI.

AA.VV. - Appunti di Dottrina Sociale della Chiesa. I cantieri aperti dalla Pastorale sociale, Rubbettino 2008.

Pontificato Consiglio della Giustizia e della pace - Compendio di Dottrina Sociale della Chiesa, Citta' del Vaticano, 2004.

Catechismo della Chiesa Cattolica.

Giordani Igino - Messaggio sociale del Cristianesimo.

Occhiolupo Nicola. - Liberazione e promozione umana nella Costituzione, Milano, 1988.

Volpini Domenico - Le radici del futiro, Roma, 1998.

Zampetti Pierluigi. La Dottrina Sociale della Chiesa, per la salvezza dell'uomo e del pianeta, Milano 2003.


COLLEGAMENTI NEL WEB.




http://www.ecoage.it/sviluppo-sostenibile.htm

http://europa.eu/legislation_summaries/environment/sustainable_development/index_it.htm

http://www.apat.gov.it/site/it-IT/Temi/Sviluppo_sostenibile/Cos%27%C3%A8_lo_sviluppo_sostenibile/

(Paolo Carlizza – Roma, 18 giugno 2010).

mercoledì 23 settembre 2009

IN QUELL'APPARTAMENTO - GARAGE DI VIA CAIO MAMILIO, 15 AL TUSCOLANO.

Introduzione.
La storia dell'umanita' e' stata piena di nefandezze, che guarda caso, si ripetono ciclicamente e con le stesse modalita': Cambiano solo le cosiddette condizioni al contorno, ovvero le circostanze.
Se, in piena seconda guerra mondiale, circa 70 anni fa, l'odio razziale ha portato a togliere dalla faccia della terra, in pochi anni una decina di milioni di perseguitati (gli ebrei, gli zingari ed altri gruppi etnici), ancora oggi la storia continua nella stessa faldariga, a farlo, specialmente nel conflitto oriente-occidente ed in certe zone interne dell'Africa. Quindi nulla di nuovo nel cuore dell'uomo.
A proposito l'altra settimana c'e' stata una celebrazione in memoria dello shoa in Germania nei campi di concentramento di Auswitz e Birkenau, in cui ci sono stati invitati tanti rappresentatnti mondiali; per l'Italia era presente anche la comunita' di S. Egidio. Significativo il discorso fatto dal Rabbino d'Isreale, per ricordare le barbarie avvenute e per alimentare la speranza che questi fatti non avvengano piu'.
Per questo, alcuni rappresentanti della comunita' di S. Egidio, dopo essere tornati a Roma hanno organizzato un incontro dedicato in una loro sede al quartiere tuscolano.
Parla Sergio...
Lunedi' mattina 20 settembre.
Incontro il mio collega Paolo Fabbreschi e ci andiamo a prendere un caffe' aziendale. Egli mi racconta che il giorno prima e' stato ad un incontro del X municipio (Cinecitta' - Roma), dove si e' festeggiato il giorno conclusivo del Ramadan. La giornata poteva assere anche il pretesto di finalizzare una determinata realta' ecumenica e cercare dialogo ed amicizia con gente di fede diversa dalla nostra cristiana.
Ovviamente tutto era stato organizzato dalla comunita' di S. Egidio, che da anni opera in questo settore.e alla fine c'e' stato anche un consistente banchetto, dove era predisposto un buffet pieno di ogni ben di Dio.
In conseguenza a questa giornata si e' pensato di organizzare per l'indomani sera un'incontro per raccontare l'esperienza, che la comunita' di S. Egidio aveva fatto una settimana prima in Germania, dove si e' celebrata la memoria dello shoa'.
Paolo mi dice se voglio andare con lui quella sera ed ho accettato di buon grado.
Alle otto di sera mi trovo in via Caio Mamilio 15, c'e' una rampa di garage in discesa ed immediatamente a destra si svolta un una struttura dotata di corridoio e di una grande sala interna.
Le sedie sono disposte a circolo, ma sono ancora vuote, c'e' solo Nicola ed il suo amico chel 'accompagna. Nicola e' un uomo disabile che sta su una carrozzella, con evidenti difficolta' nel parlare. Nonostante tutto fara' un intervento molto efficace, con soluzioni di Fede molto pratiche e veritiere.
Paolo non e' ancora arrivato, lo vedo poco dopo all'ingresso del numero 15.
Piano piano, sino alle 8 e mezza arrivano alla spicciolata tutti gli altri: Sergio, che dovra' presiedere la riunione, Valerio, un giovane ingegnere, che e' stato anche lui ad Auswitz la settimana scorsa, un paio di coppie e una decina di altre persone, con alcuni ragazzi e giovanni donne.
Verso le nove meno un quarto s'inizia e Sergio, un tipo di statura minuta, con i capelli ricci e brizzolati, comincia a parlare tra l'attenzione di tutti gli astanti.
Si comincia a parlare di razze considerate inferiori, per le loro differenziazioni comportamentali e politiche fino all'individuazione dei gruppi etnici da eliminare per risanare l'umanita'; siamo alla soglia degli anni trenta e vengono subito additati gli ebrei, per caratteristiche caratteriali non considerate civili e per la loro intraprendenza economica e gli zingari, gia' definiti come ladri di bambini.
L'umanita' deve essere ripulita dalla sozzura etnica, che puo' contaminare un normale sviluppo del progresso e quindi si decide di intraprendere, soprattutto da parte della "razza ariana", azioni che limitino i diritti civili di questa gente "inferiore". Poi piano piano le persecuzioni, e molte di queste rimarranno nascoste agli occhi del mondo per un po' di anni: tutto sara' rivelato a partire dal maggio 1945, quando le truppe sovietiche scopriranno tutte le atrocita' consumate nei campi di concentramento tedeschi.
Dopo un'esposione di carattere generale Sergio rende note alcune testimonianze: legge dei testi, che parlano e raccontano dettagliatamente le atrocita' consumate nei lager. Impressionante e sconvolgente la lettura di un brano da "La voce dei sommersi" di Carlo Saletti. Questo libro e' una raccolta di manoscritti di ebrei internati, destinati a morire, manoscritti che sono stati ritrovati dopo, che tutto si era svolto, nelle celle di prigionia, contenuti o nascosti in bottiglie in parte murate.
Il brano letto racconta di un certo numero di donne ebree trasportate completamente denudate su di un carro e rovesciate sul fondo stradale, alla stregua di un ammasso di ghiaia, allorche' si trovano in prossimita' delle camere a gas, dove dovranno morire asfissiate ed in seguito cremate nei forni crematori.
Sergio salta alcuni brani che sono scabrosissimi nelle descrizioni, per non turbare ulteriormente gli astanti.
Poi legge dei brani relativi alla "Notte" di Elie Wiesel, dove e' riassunta la vicenda di un padre cinquantenne ed un figlio dodicenne, che sono entrambi rinchiusi in un lager. Alla fine, si vedra' che anche loro si adegueranno al ritmo della vita di prigionia, che perderanno ogni senso di rabbia e di ribellione, per puro spirito di sopravvivenza.
Dopo questa prima parte, e' stato dato spazio ai commenti degli astanti e per primo e' stato Valerio a parlare, dato che anche lui, con Sergio era andato la scorsa settimana in Germania, alla celebrzione della memoria dello shoa'.
Valerio ha detto anzitutto, che, un conto e' leggere sui libri l'esperienza dello shoa', ed un altro e' vedere direttamente, anche se dopo sessantanni, i campi di concentramento: li', in sito, la tua mente comincia ad immaginare e a ricostruire le storie che si sono intrecciate nel primo quinquennio degli anni quaranta: pareva vederla questa gente che viveva di stenti, soffriva in schiavitu' ed era portata di fronte alla morte come niente. Addirittura, si dice che in un periodo di 90 giorni sono state portate a morte piu' di 400000 persone!
Come fare a non immaginare nel proprio luogo, questi efferati crimini dell'umanita'.
Subito dopo, ha affermato che la situazione dell'uomo nonostante tutto e' sempre la stessa e che ancor oggi, negli anni 2000, ci sono grosse persecuzioni, soprattutto verso le etnie piu' deboli: i corsi ed i ricorsi della storia.
Infine l'ultima affermazione di Valerio e' stata che il male non appartiene ad un'altro pianeta, ma a questa terna e non e' una cosa che vive al di fuori delle nostre realta' quitidiane, bensi' e' una dura realta' che ci tocca e ne siamo per forza partecipi, indipendentemente dalla nostra volonta' e per questo, dobbiamo avere la consapevolezza che bisogna combattere con mezzi opportuni cio' che ostacola una convivenza civile tra tutti gli abitanti di questa tormentata terra.
E' seguito poi l'intevento del mio collega Paolo, che ha ribabdito, che bisogna rimboccarsi le maniche, cercando di ritrovare i valori veri, da inculcare soprattutto ai giovani, ma partendo principalmente da un'istituzione, che sta rischiando di crollare: la famiglia.
Hanno chiuso altri due o tre interventi, di cui uno importante e' stato quello di Nicola: "Cio' che ci limita nei rapporti umani a qualsiasi livello e' la paura ed e' la paura stessa che scatena le guerre. Per questo bisogna aprirsi all'altro, ma soprattutto, come diceva G.P. II, aprire le porte a Cristo!".
Dulcis in fundo, Sergio, tramite il suo portatile, ci ha fatto vedere, traducendolo in italiano, frase per frase, il filmato della cerimonia a Birkenau dell'altra settimana, con il discorso in inglese che ha fatto il rabbino d'Israele. Nell'ultima parte del video e' stato ripreso il momento di una bellissima preghiera ebraica per i defunti, in onore alla memoria dell'olocausto.
Riporto per precisione l'intervista del rabbino, tradotta in italiano, immediatamente nelle righe seguenti, mentre se si clicca il seguente ipertesto ( video originale ) si ha il filmato della celebrazione della memoria, con il discorso stesso del rabbino.

Nel settembre del ’93 questa settimana 16 anni fa ebbi una lunga conversazione con il Papa Giovanni Paolo II a Castelgandolfo in Italia. All’inizio del nostro lungo incontro mi disse: “Mi ricordo di suo nonno, nella città di Cracovia, dove sono stato vescovo, durante la guerra mondiale.Ricordo suo nonno il Rabbino Frankel che andava verso la sinagoga per lo Shabbath il sabato, circondato da moltissimi bambini.”Gli chiesi: “Quanti nipoti ha?”Lui rispose: “47.”Ed il Papa mi chiese allora: “Quanti sono sopravvissuti all’Olocausto?”Io risposi: “Solo cinque.”42, compreso mio fratello, che aveva 13 anni, e tutti i miei cugini, erano morti durante l’Olocausto. Il Papa alzò gli occhi al cielo e disse: “Ho visitato già un centinaio di Stati. Ovunque io vada lo ripeto sempre con forza. Noi, tutta l’umanità, abbiamo l’obbligo e l’impegno di garantire un futuro ed una continuità ai nostri fratelli maggiori, gli Ebrei”.Noi oggi siamo qui riuniti grazie all’invito della Comunità di Sant’Egidio, che ci ha condotti a visitare insieme il più grande cimitero dell’umanità, della storia dell’umanità, nel luogo dove c’era la fabbrica della morte.Potete vedere la foto di Mengele, con un dito decideva se a destra o a sinistra, la vita o la morte.Ecco, era la fabbrica della morte.E il mondo era diviso in 3 parti.Una parte dove stavano gli assassini, i nazisti e la resistenza. Dall’altra parte le vittime. La terza parte era costituita dal mondo che restò in silenzio. E non disse una parola.Ecco perché oggi siamo qui.Per promettere a noi stessi, ai nostri figli ed alle generazioni future, come avete detto prima, NEVER AGAIN, mai più.Noi non dimenticheremo mai, non possiamo dimenticare, e faremo ogni sforzo affinché un tale orrore non si ripeta. In nessuna parte del mondo, contro nessuna nazione al mondo.Secondo i rapporti dell’ONU che io cito e ripeto in continuazione ogni giorno, di fame e solo di fame, non di malattie, non di incidenti automobilistici, non di Aids o di cancro, ma solo a causa della fame, 18.000 bambini muoiono ogni giorno. Da quando siamo arrivati ad Auschwitz ad oggi, mille bambini, neonati, bambini innocenti sono già morti di fame, principalmente in Asia ed in Africa. Ma non si vede nemmeno sulle prime pagine dei giornali, o nei titoli dei telegiornali. Su nessun canale. 18.000 bambini al giorno!Sant’Egidio si prende cura della salute dei poveri, dei bisognosi, delle vittime del passato e per evitare vittime innocenti nel futuro.Vedete qui oggi quante religioni sono rappresentate. Io faccio appello anche ai cugini del mondo islamico. Se possiamo camminare qui oggi spalla a spalla e deporre dei fiori, non possiamo anche sederci insieme ed avere un buon dialogo per risolvere tutti i conflitti e tutti i problemi e parlarci, l’uno con l’altro, come amici, come cugini, come vicini? Sì possiamo.Io avevo un amico, un sopravvissuto ad Auschwitz, un famoso scrittore che scrisse diversi libri sulla sua terribile esperienza.Mi diceva sempre: “Non scrivo mai con l’inchiostro, ma con il mio sangue.”Venne chiamato come testimone al processo di Adolf Eichmann. Dopo pochi minuti dall’inizio della sua testimonianza svenne e cadde a terra. Non poteva sopportare di testimoniare.Quando vide Eichmann, disse: “Io vengo da un paese in cui i bambini non sono mai nati e i fiori non crescevano più. Era un pianeta diverso, un pianeta chiamato Auschwitz. Vedo le loro facce.” Disse e poi svenne.Che la memoria del mio amico sia benedetta. Ciò non avvenne in un altro pianeta. Era il nostro pianeta. Sentivano la musica, leggevano libri, studiavano filosofia, morale, etica ed erano eletti in un modo molto democratico. Ma loro lo fecero. L’omicidio di 50 milioni di persone, compresi 6 milioni di Ebrei. Nessuno li aveva minacciati o messi in pericolo.Noi non avevamo armi. Non avevamo un paese, ne’ uno stato. Ne’ missili, ne’ razzi. Non avevamo una pistola in mano. Su questo pianeta!Dobbiamo essere sicuri che su questo pianeta non riappaia più un orrore simile.Finirò il mio discorso così come ho iniziato, con la memoria di Giovanni Paolo II.Mi chiese: “Rabbino Capo, lei ha dei figli?”Risposi di sì. “Vivono in Israele?” mi chiese.“Sì, tutti, anche i miei nipoti vivono tutti in Israele.”Ed egli mi disse:”Questa era la promessa di cui parlavo sul futuro e la continuità degli Ebrei.”Quando nel ’95 mi trovavo nel campo di Buchenwald, nella città di Weimar in Germania, dove venni liberato quando avevo 8 anni, sul muro della finestra della stanza delle torture vidi una parola “necumene”, in Yiddish "fai la vendetta". Era l’ultima parola di un uomo torturato in quella stanza, una vittima di Buchenwald. Vendetta. Quale vendetta possiamo fare noi? Sono un credente, credo nel Signore onnipotente, non solo perché sono un rabbino o un ebreo. Ma perché sono un essere umano. Io credo sia accaduto dal Cielo.Due o tre ore fa, qui a Cracovia, ero arrivato stanotte per partecipare all’Incontro, ho ricevuto una telefonata da mia nipote. “Nonno, mezz'ora fa ti ho dato alla luce un altro nipote." E’ nato oggi alle 7 in Israele.Questa è la mia vendetta. Questa è la mia risposta. Questa è la mia soluzione.Vivi e lascia vivere. Vivete insieme, in amicizia, in amore ed in pace. Grazie.
La serata si conclude alle 22:30, con la promessa di rivederci ben presto ad un incontro successivo.

(Paolo Carlizza)


lunedì 24 agosto 2009

UN POMERIGGIO DI AGOSTO A L'AQUILA E DINTORNI.

Introduzione.
Una gita di un giorno da un mio carissimo amico, mi ha portato nel mezzo di un campo di lavoro, costituito dai volontari di importanti associazioni a livello civile e religioso, per aiutare le persone rimaste coinvolte nel terremoto del 6 aprile a L'Aquila.
Una chiesa improvvisata ( le foto).

Dopo il terremoto del 6 aprile, organizzazioni di giovani volontari hanno costituito molti campi di lavoro. Le foto seguenti mostrano una chiesa costruita con attrezzature d'emergenza, nei pressi del campo di lavoro di S. Giacomo nei pressi di L'Aquila.

Appena sotto: con una grossa tenda e sei semplici gazebo sono state create la navata centrale e quelle laterali; al centro: officiazione della santa Messa, presenti i ragazzi volontari della confraternita della Misericordia provenienti da ogni parte d'Italia e gente della frazione di S. Giacomo; in basso: i volontari hanno costruito, mediante un traliccio in tubi un campanile ed lo stanno verniciando.
















































Angiolino.

Angiolino Colasante e' un ingegnere elettronico che vive a Chieti Scalo, e' professore in un istituto tecnico di questa citta', esercita la sua professione nei momenti liberi e appena puo' va persino ad aiutare i suoi in campagna ad Arielli, in provincia, dov'e' la casa dei genitori.
E' instancabile non si e' mai fermato da quando lo conosco.
Angiolino e' tutto questo e soprattutto e' mio amico; l'ho conosciuto ai tempi dell'Universita', e c'incontravamo spesso in facolta'. Ed e' nata una grande amicizia, anche per un interesse comune: frequentavamo il movimento dei focolari della non mai abbastanza compianta Chiara Lubich.
Con l'andare degli anni, Angiolino, che e' stato sempre un tipo generoso e predisposto ad aiutare la gente in difficolta', ha acquisito una sensibilita' organizzativa, che lo porta a operare dove c'e' bisogno. E quest'anno dopo il terremoto di L'Aquila, appena ha potuto e' entrato a far parte dell'organizzazione dei campi di lavoro, in collaborazione con altre associazioni civiche e religiose.


Cronaca di una breve visita all'Aquila.

Telefono da Roma ad Angiolino, che e' a casa a Chieti Scalo: - Senti, quand'e' che posso venirti a trovare? - E Lui: vieni sabato, pranzi da noi e cosi' il pomeriggio andiamo a fare una visita al campo di lavoro a L'Aquila. -
Sono d'accordo e sabato 22 agosto parto dalla Stazione Tiburtina alle 7 del mattino con il pullman Arpa, che fa una corsa quasi non stop fino a Chieti e a Pescara.
Alle 9:25 gia' sono a Chieti e vengo accolto con tutti gli onori, da Angiolino, la moglie Anna Maria e da tre figli, Paolo di 18, Simona di 16 , Marco, di 10 anni.
La mattina la impegniamo io, Angiolino ed i suoi tre figli ad andare a fare una passeggiata in montagna sul Blockhous della Maiella ( solo 45 minuti di macchina), poi al ritorno pranziamo nell'accogliente appartamento di Chieti dei miei amici ed alle quattro e mezza del pomeriggio si parte per l'Aquila, con Angiolino, Anna Maria e Marco.
Prendiamo l'autostrada A24 fino a Bussi e poi la statale che collega con l'Aquila.
Il primo tratto del viaggio e' tranquillo, con scenari e panorami montani da incorniciare, poi nei pressi di Barisciano comincia la zona dell'aquilano e iniziano a vedersi gli effetti del terremoto.
Da una parte e dall'altra della strada s'intravedono case lesionate, piu' o meno gravemente ed altre ancora addirittura crollate e tutte da rifare completamente.
Ti viene una tristezza nel cuore, al ricordo di esserci passato in questa zona nell'ottobre scorso in un assolato giorno di rigoglioso autunno, dove allora non si aveva il minimo sospetto di cosa sarebbe successo sei mesi dopo.
Il viaggio verso L'Aquila continua e si nota un altro aspetto delle conseguenze del terremoto: ai lati della strada, ogni tanto affiorano casette di legno, tipo baite, in vendita e chi ha i soldi per comprarle, gia' si assicura un tempestivo rifugio per l'inverno che verra'.
Poi balzano ai nostri occhi i numerosi accampamenti di tendopoli, nei pressi dei paesetti che incontriamo.
L'Aquila e' quasi alle porte e si vedono ogni tanto piccoli cantieri di case gia' pronte per gli sfollati: e' un buon segno.
Comunque per la cronaca, fino ad oggi 22 agosto Angiolino mi dice che ci sono in tre zone di L'Aquila, grossissimi cantieri, con palazzi agli ultimi ritocchi: tra un mese le prime consegne. Quindi sembra che il governo abbia mantenuto le promesse.
Passiamo vicino a Paganica e poi al bivio per Onna: quest'ultimo e' ancora piantonato dagli agenti e fanno passare solo chi ha il permesso.
L'atmosfera, si sente nell'aria, e' triste, rassegnata e di dolore, manca la vitalita' dei giorni miglori nei cuori della gente, che deve affrontare tanti problemi, lottare con le proprie forze contro realta' delle volte scomode e soprattutto contro le amministrazioni locali, che talvolta non collaborano e non soddisfano tempestivamente i bisogni e le esigenze del momento.
Non tutto va bene, c'e' gente che si lamenta, c'e' gente che e' stufa di condividere una tenda con altre famiglie, di non fare la doccia tutti i giorni, di usare bagni e strutture sanitarie da condividire con chissachi'; inoltre c'e' anche la paura, per fenomeni di sciacallaggio intelligente, di perdere il diritto di avere una casa subito, perche' si sono introdotte famiglie che ne hanno meno diritto o che non ne hanno addirittura per niente, tipo gruppi di intrepidi extracomunitari, che non avendo avuto la casa danneggiata, simulano di averne bisogno.
E' stata una cosa troppo grossa questo terremoto, ha paralizzato una provincia, se non un'intera regione.
Ma non tutto e' morto: i giovani riprenderanno le scuole tra un mese o meno e gli adulti hanno gia' ripreso il lavoro: gli abbruzzesi dal carattere forte ed orgoglioso non si lasciano abbattere e si stanno rimboccando le maniche.
Ora siamo a L'Aquila e lo spettacolo si fa piu' avvilente, perche si ha la visione dei tanti crolli avvenuti in citta', solo nei dintorni del centro la vita e' ritotnata quasi normale e la gente tornata a vivere nelle loro case, ma per il resto e' notte fonda. Ci sono ancora tante tendopoli, che dimostrano che siamo ancora lontani dalla normalita' completa.
Attraversiamo buona parte della citta' con l'animo sospeso e arriviamo alla frazione di S. Giacomo, dove e' il campo di lavoro dove opera Angiolino: c'e' una piccola chiesa con un bel campanile e li' ci fermiamo.
Si vede una tenda molto grande a pochi metri: la chiesa della frazione e' pericolante ed inagibile, allora i volontari ne hanno costruita una vicina articificialmente: una tenda fatta di impalcature di ferro ne costituisce la navata centrale, mentre le due navate laterali sono formate da tre gazebo messi in serie, per ogni navata. Non c'e' la croce sul davanti del "tetto", la devono ancora mettere, ma dentro c'e' tutto: l'altare, l'ambone ed un impianto microfonico; Infine due lunghe file di sedie riempiono la navata centrale.
A una decina di metri all'esterno della navata sinistra c'e' un incastellamento di tubi, alla sommita' del quale ci sono due campane: il campanile, per l'appunto. Dentro la struttura sono arrampicati tre ragazzi volontari, che stanno verniciando con l'antiruggine i tubi un po' arrugginiti, rimediati da qualche parte.Chissa' per quanto tempo dovra' questa chiesa provvisoria dovra' sostituire quella originale...
Arriviamo che stanno facendo la Messa Vespertina; infatti sono le sei passate del pomeriggio.
L'ambiente e' pieno di persone per lo piu' giovani, molti dei quali sono volontari del campo di lavoro a S. Giacomo.
La Liturgia si svolge regolarmente e senza intoppi, tra canti, letture e orazioni.
Poi c'e' l'alleluja, la lettura del Vangelo ed infine l'omelia.
Nell'omelia, il sacerdote, dopo aver commentato il vangelo, prende lo spunto di parlare amaramente della situazione attuale: denuncia tutte le strutture politiche, che prima fanno tante promesse e poi si dimenticano della gente e non viene risparmiato nemmeno il G8, svoltosi qui un mese prima. Promesse, soldi ed aiuti che non hanno rispettato le attese.
Terminata la messa, la giornata con il mio amico termina, perche' devo ritornare a Roma in serata. Ci salutiamo e ci ripromettiamo di vederci presto, magari essendo spettatori di una situazione notevolmente migliorata.

Un paio di minuti di scossa tellurica di quell'infausto 6 aprile, quanti problemi e situazioni dolorose hanno creato.
Tutto non finira' presto, e' inutile illudersi che nel prossimo inverno tutti saranno al caldo con tutte le proprie cose, ma si fara' il possibile, affinche' un grande numero di persone dimentichino questa tragica esperienza.
Ma le tracce di quest'evento saranno presenti per diversi anni, perche' quando accade un grave terremoto, dovunque e' cosi'.
L'importante e' non scoraggiarsi e cercare di vivere la vita nell'attimo presente, senza illudersi non piu' di tanto. Ma alla fine la costanza di chi avra' lottato portera' il giusto premio a chi ha creduto nella vita e nei veri valori, nonostante tutto.

(Paolo Carlizza)

venerdì 10 luglio 2009

LAURETTA L'ANGELO DEI BAMBINI SOFFERENTI.

Introduzione.


L'altro giorno mando una e-mail al mio amico Oreste Paliotti, che lavora presso il giornale di Citta' Nuova, per metterlo a conoscenza di un blog che ho aperto nella rete, dedicato ai viaggi ed alle escursioni e lui mi risponde con un invito per una serata speciale, da condividere con una donna particolare, che raccontera' delle esperienze in cui i protagonisti sono i bambini. Non comuni o normali bambini che vivono una vita tremendamente normale, fatta di scuola, giochi e serena vita familiare, ma bambini che stanno in ospedale e che soffrono per lo piu' di malattie gravi ed a volte anche irrimediabili.
E quindi lunedi' 6 luglio alle ore 21, mi trovo in via Tor de' Conti, 15, in casa Maritti, amici di Oreste, dietro l'arco dei Pantani, in prossimita' del foro di Traiano a Roma, in un ambiente, che deve essere stato una casa od una struttura architettonica dell'antica Roma (faceva tra l'altro anche un bel fresco li' dentro), con una platea di sedie disposte a ferro di cavallo, dove gia' erano seduti un buon numero d'invitati pronti ad ascoltare Lauretta.
Si' Lauretta, che gia' stava seduta pronta per il suo intervento, vicino ad un grande pianoforte, che dava un tocco teatrale a tutto l'insieme.
Una volta che la platea e' stata riempita, Oreste, l'amico dell'e-mail di cui sopra, che e' anche giornalista, induce Lauretta a raccontare la sua esperienza. Si crea subito un silenzio ed un'attenzione particolare e la donna comincia a raccontare.
Lauretta voleva fare la professoressa di filosofia ed aveva chiesto ad un prelato un aiuto per trovare una cattedra o una supplenza, ma il caso volle altrimenti. Comincio' a scrivere fiabe per bambini e fu incoraggiata a proseguire in questa attivita' ed allora addio filosofia...
Dato che era brava a scrivere fiabe, si sentiva capace, ed aveva una voce molto suadente, anche a raccontarle. Quindi chiese di poterle raccontare ai bambini in ospedale, per alleviargli le sofferenze. Ma la strada doveva presentarsi in salita, perche' le assegnarono al Policlinico di Roma, il reparto di oncologia, dove un certo numero di bambini versava in condizioni molto critiche di salute ed una parte di questi non aveva grandi speranze di sopravvivere, tanto il male era avanzato.

Li', Lauretta apprese la gioia del donare nella sofferenza e questo la fortificava sempre di piu'. Era giovane ed aveva poco piu' di venti-ventidue anni. Ma di questo sforzo era ripagata dai bambini stessi, che hanno uno spirito che non si deprime mai, che vogliono sempre giocare, fare tante cose. purche' si facciano, ascoltare fatti dai grandi incessantemente.
In questa esperienza ci sono state tante situazioni gioiose e tristi che ha incontrato, ma non si e' mai fermata. Aveva i suoi bambini e le sue nuove favole da scrivere e finora, dopo quarant'anni d'esperienza, ne ha scritte parecchie.
In questo arco di anni ha amato parecchio, ma ha anche ricevuto amore, perche' i bambini l'hanno sempre considerata una madre, una sorella od una compagna di giochi.
E quanti dolori, quanti ne ha visti morire! Proprio per questo era sempre sul punto di smettere con questa attivita', perche' le recava troppo dolore troppa tristezza la morte di un bambino. Ma poi non so come, trovava sempre la forza per ricominciare e non gettare mai la spugna.
Le sue favole sono abbastanza note e godono anche di una tiratura discreta nelle librerie e sono firmate come Laura o Lauretta Perassi.
Per completare il quadro di questa persona, segue un articolo del mio amico Oreste ed infine una sua breve favola, ma molto significativa.
(Paolo Carlizza)


Lauretta e il dolore innocente.

25-05-2006 di Oreste Paliotti

Alloggia in un austero pensionato religioso, ma basta varcare una porta - come l'armadio di C. S. Lewis che ti introduce nel mondo fantastico di Narnia - ed entri in un ambiente luminoso, allegro e colorato. È il regno di Lauretta, quasi una fatina capace di trasformare un punto interrogativo in esclamativo, come nell'ultima sua favola pubblicata nella nostra Fantasilandia. Minuta, sorridente, vivacissima, corrisponde perfettamente a questi versi che una bambina di quattro anni le ha dedicato: Lauretta è come un pesciolino/oggi vestita di rosa, domani di turchino./ Lauretta è come un uccellino/ che vola di stanza in stanza e chiama ogni bambino.... Mi guardo intorno come Alice nel paese delle meraviglie. La camera è zeppa di peluches, di angioletti e di altri angeli: le foto dei suoi piccoli amici. E poi libri e libri: favole ovviamente, ma anche Sacra Scrittura, dottori della Chiesa come sant'Agostino, filosofi come Kierkegaard, scrittori e poeti come Péguy, Tagore, Saint-Exupéry... Sono nata a Stresa, sul Lago Maggiore, ma da dodici anni vivo a Roma, città che amo moltissimo: cambiare ambiente ed abitudini è risultato molto stimolante per me in quanto scrittrice. Infatti nel solo primo anno qui nella capitale ho scritto un'intera raccolta di favole: Bambina Speranza, edita da Gribaudi. Da allora sono già una dozzina le tue pubblicazioni.Ma come è nata Lauretta scrittrice? È stato per caso. Ero orientata infatti all'insegnamento. Studentessa di lettere e filosofia alla Cattolica di Milano, nel 1983 avevo chiesto un colloquio a padre Raniero Cantalamessa, mio professo- re di Storia delle origini cristiane, ma a causa della mia estrema timidezza avevo pensato di spiegarmi per lettera. Quando però mi sono trovata davanti quel foglio bianco, è successa una cosa strana: ho cominciato a scrivere C'era una volta una rosellina.... Naturalmente dietro questa rosellina mi nascondevo io con i miei sentimenti, le mie domande. La cosa ha funzionato: padre Cantalamessa ha capito e mi ha dato le risposte che mi aspettavo. Non solo, ma osservando che avevo un talento mi ha incoraggiata a scrivere. Le favole poi mi hanno aperto una seconda strada, quella del volontariato in ospedale. Nei primi mesi a Roma non conoscevo ancora nessuno e un giorno ho pensato di andarle a leggere ai bambini in ospedale. Il cappellano del Policlinico Umberto I al quale mi sono rivolta per telefono mi ha risposto di sì, che potevo farlo, ma in Oncologia pediatrica. Era l'ultimo posto dove avrei voluto mettere piede, in quanto tutti e due i miei genitori erano morti di cancro.Ma al tono risoluto del cappellano non ho saputo tirarmi indietro. Il giorno in cui ho messo piede in quel reparto, la paura mi è passata vedendo Mariachiara: una bambina bellissima, malgrado la testolina segnata da una cicatrice che andava da un orecchio all'altro. A me, che colleziono cerchietti per i capelli, è sembrato il cerchietto più originale mai visto! E così lei ha addolcito il mio primo impatto con la dura realtà dell'ospedale. Mariachiara mi ha dato lezioni di pazienza, di eroismo e di fede, e così pure tanti altri piccoli ammalati come lei. Vedo qui tante foto: i tuoi piccoli amici dell'Oncologia... Sono ormai ben oltre il centinaio quelli che ho seguito finora. Io considero questa la grazia più grande e più faticosa ricevuta dal Signore. Subito dopo che Mariachiara ha lasciato questa terra, ho sentito l'impulso di scriverle una letterina. Da allora mi è venuto spontaneo indirizzarne una ad ogni bimbo andato in Cielo: soprattutto per non dimenticare le loro preziose lezioni di vita. Così è nata la raccolta Noi giocheremo in eterno, titolo preso da una profezia di Zaccaria che dice: Gerusalemme formicolerà di fanciulli e di fanciulle che giocheranno sulle sue piazze. È come se tutti questi piccoli mi abbiano dato appuntamento in Paradiso, e immagino che il giorno in cui arriverò lì si metteranno a gridare: Lauretta, finalmente! Finalmente riprendiamo a giocare!. Cosa ha suscitato in te questo contatto col dolore innocente? Non posso dire certo di essermi data delle risposte; so solo che mi devo fermare davanti a questo mistero. Preferisco raccontarti un'esperienza: mentre stavo nella sala giochi del Policlinico, Giuseppe, 14 anni (aveva un sarcoma e negli ultimi tempi la morfina non bastava più a calmargli i dolori), mi ha mandata a chiamare. L'ho trovato seduto sul letto con un flauto tra le mani. Sai, ho imparato la Primavera di Vivaldi e te la voglio far sentire. Ha cominciato a suonare, ma io di quella musica non ho sentito una nota sola, troppo presa a guardare la primavera che risplendeva nei suoi occhi. Quando ora leggo il vangelo della Trasfigurazione di Gesù non posso fare a meno di pensare a Giuseppe, quella sera, a quel suo viso reso pulito, trasparente, da un arduo cammino di accettazione. Una delle ultime sere, ha indugiato a lungo a farmi ciao, ciao! con la mano. Entrambi sapevamo che era un addio. In strada, un pensiero: Signore, io non capisco cos'è la sofferenza, tanto meno quella dei bambini; ma se quella accettata produce questi frutti, io ti prometto che mai più la maledirò.... A differenza poi dei loro genitori, che spesso hanno scatti di rabbia, di ribellione contro Dio, i bambini non hanno atteggiamenti del genere. Penso a Marianeve, 7 anni. Stavamo disegnando, quando lei all'improvviso mi ha detto con grande impeto: Sai, Lauretta, io sono sicura che Gesù mi guarisce!. Poi s'è rivolta alla mamma: Vero, mamma, che Gesù mi gua- risce?. Ho visto il viso di lei irrigidirsi; poi, con voce estremamente dura: Nevina, se Dio voleva fare qualcosa, non ti avrebbe fatta ammalare!. Al che la bambina, senza scomporsi: Ma mamma, Dio non le fa queste cose, è il diavolo che le fa!. Perché nella loro semplicità i bambini ragionano così: Dio è buono, non può fare il male; il male quindi può venire solo dal diavolo. E a me è venuto in mente il salmo: Beato l'uomo che non imputa a Dio alcun male. Ma che effetto fanno queste favole ai bambini? Non di rado si identificano nella storia. È il caso di Mariachiara alla quale avevo letto la favola di Origami: una bambina ha costruito un fiore di carta così bello che sembra vero, per cui le viene naturale metterlo dentro un vasetto con dell'acqua. Origami, che si sente anche lui vero, gode della luce del sole, del profumo degli altri fiori. Finché un giorno la mamma della bambina, temendo che nell'acqua quel fiore di carta possa sciuparsi, lo poggia sulla scrivania. Ma a questo punto, fuori dall'elemento vitale, lui comincia a star male... Arrivata alla frase Il fiore sentì venir meno le sue forze, allora raccolse i petali intorno a sé e non pensò più a niente, Mariachiara che ascoltava con grande attenzione mi ha fermata:Ma allora Origami sono io!. A quel punto ho capito di avere in mano uno strumento per parlare con i bambini di pensieri e paure che non osano esprimere agli adulti perché sono coscienti che loro non dicono sempre la verità. E come vengono accolte dagli adulti le tue favole? Le apprezzano anche loro, forse perché trasfigurare la realtà è un modo per comprenderla meglio. So di tanti che le leggono prima di addormentarsi, mentre altri le usano per la catechesi (in fondo richiamano un po' le parabole evangeliche). Io stessa tengo degli incontri nelle parrocchie e nelle scuole: la lettura di una favola diventa il punto di partenza per arrivare a spiegare la parola di Dio. Un po' in controtendenza rispetto al mondo d'oggi che privilegia l'immagine... È vero. Io però credo fermamente nel potere evocativo della parola. Sempre, infatti, quando incomincio a leggere una favola, i bambini mi ascoltano incantati. Gianfranco Restelli LA NOTTE DI DIO Una favola nata in ospedale. Un giorno, all'inizio del mondo, l'uomo si presentò davanti a Dio per chiedergli di far sparire il dolore dalla faccia della terra. L'uomo aveva un figlio ammalato e non poteva sopportare di vederlo soffrire così. Il dolore è quanto di più ingiusto tu abbia mai creato sulla terra disse con voce dura. Dio spalancò gli occhi per la sorpresa e rispose pacatamente: Figlio mio, io non posso proprio fare niente. Non l'ho creato io, il dolore. Nel mondo, così com'era uscito dalle mie mani, esso non c'era. Ne sono ben sicuro perché, quando ho contemplato tutto quello che avevo creato, ho visto che tutto era buono. Stai attento a non attribuire a me quello che hai fatto tu. Sei tu che hai introdotto il disordine, e di conseguenza il dolore, nel mondo. L'uomo chinò il capo confuso, farfugliò qualche parola dalla quale si capiva che, in fondo, sì, ammetteva di avere qualche colpa, ma ciononostante rinnovò la sua richiesta, tra le lacrime: Se non vuoi farlo per me, fallo almeno per mio figlio! Lui non ha colpa alcuna, non è giusto che soffra così. Dio ebbe compassione del pianto dell'uomo e rispose: Va', figlio mio, va' in pace, ché qualcosa posso fare. Va' a dormire tranquillo e torna da me domani. Dio rimase solo e, nella notte, nella solitudine immensa del creato addormentato, giunse le mani come una coppa e vi raccolse tutto il dolore del mondo. Poi si portò quella coppa alle labbra e la bevve, fino alla feccia. Il dolore gli straziò le carni, gli penetrò fino in fondo nel cuore. Nel cuore di Dio si svolse una lotta tremenda, tra il dolore e l'amore. Dio si sentì venire meno e pianse. Il cuore divino divenne come una grande tinozza, colma di lacrime che lavarono il dolore, lo purificarono, gli tolsero ogni bruttura. La mattina dopo, quando l'uomo tornò da Dio, si spaventò nel vederlo così pallido, così provato, ma non gli chiese nulla, preferiva non sapere quello che era successo. Dio parlò al dolore, in presenza dell'uomo, e gli disse: Va', figlio mio, torna sulla terra, non più segno di maledizione, ma di benedizione perché io ti concedo il potere di purificare il cuore dell'uomo cosicché, chi ti accoglierà nel mio nome, possa diventare una creatura nuova, primizia di una nuova creazione. Poi parlò all'uomo e gli disse: D'ora in poi, non ti domandare più il perché del dolore, ma guardane i frutti.

(da Noi giocheremo in eterno, Ancora 2000)

Vincenzino e Mohamed sono due bambini reali, che sono esistiti, conosciuti da Lauretta, in un periodo del suo volontariato in ospedale.
Prima in ospedale c'era solo Vincenzino, un bambino calabrese, che e' stato raggiunto dopo qualche tempo da Mohamed, proveniente dall'Iran.
Pur essendo di fede diversa i due diventano inseparabili amci per la pelle e nelle loro azioni quotidiane sono sempre insieme. Dove era l'uno, c'era l'altro, non li vedevi mai da soli o separati.
Purtroppo soffrivano di gravi mali ed erano destinati col tempo a soccombere, ma la cosa piu' straordinaria di questa esperienza e' che in realta', sono morti a tre ore di distanza l'uno dall'altro.
Lauretta nel suo grande dolore, dedica loro una magnifica favola di non molte parole, ma molto significativa e immagina che dopo la loro morte stanno camminando nell'aldila' diretti verso il Grande Trono, dove e' assiso il Creatore...
"Il nome di Dio" di Lauretta Perassi.

— Sei pronto, Vincenzino?— chiese con voce dolcissima l'Angelo che era entrato in quel mo­mento nella stanza del bimbo, all'ospedale.
— Sì! — rispose il bambino e aggiunse: Andiamo da Dio, vero?
L'angelo assentì col capo. Vincenzino mise fidu­cioso la sua manina in quella dell'angelo. Insie­me lasciarono l'ospedale, la città addormentata sotto una coltre di stelle, la terra verde azzurra e si inoltrarono lungo le vie del ciclo, scintillanti di luce. Il bimbo saltellava al fianco dell'angelo, quando, all'improvviso, si sentì chiamare:
— Vincenzino, dove vai? Aspettami! Si voltò indietro e vide venire verso di lui il suo amichetto Mohamed, compagno di tanti giochi, là in ospedale. Anche Mohamed era affiancato da un angelo che indossava una veste candida, stretta in vita da una fascia d'oro.
Sapendo che Mohamed era venuto da lontano per curarsi e che era in ospedale solo con il papa, Vin­cenzino domandò:
— L'hai detto al tuo papa?
— No, l'ho lasciato inginocchiato sul tappeto del­la preghiera. M'è sembrato il momento migliore, per partire. Sonò sicuro che Allah saprà consolar­lo, dettargli le risposte giuste in fondo al cuore.
— Allah? — domandò Vincenzino con stupore — E chi è Allah?--.
Mohamed scoppiò in una risata. Quella risata ar­gentina che lo contraddistingueva e che gli faceva brillare i grandi Occhi scuri.
— Allah è Dio!
— No, Dio si chiama Trinità — ribattè Vincenzi­no — Ne sono sicuro perché me l'ha detto mio padre.
— Anch'io sono sicuro che si chiama Allah, me l'ha detto mio padre — disse Mohamed. Poiché l'autorità di un papa non si mette in di­scussione, i due bambini dovettero concludere:
— Ma allora il tuo Dio non è uguale al mio!
— Questo vuoi dire che gli angeli non ci stanno portando dalla stessa parte!_— realizzò in un istante Vincenzino è aggiunse: Io non voglio ve­dere là Trinità, senza di te!
— Neppure io voglio vedere Allah, senza di te! Per fortuna, gli angeli stavano conversando ami­chevolmente tra di loro. Un'occhiata d'intesa pas­sò tra i due bambini che fecero dietrofront e si na­scosero in mezzo a un banco di nuvole.
— Adesso dobbiamo cercare un posto dove stare insieme — disse Mohamed. Mano nella mano, il piccolo musulmano e il pic­colo cattolico si incamminarono su una strada la stricata di turchesi.
Cammina cammina arrivarono in vista di una città le cui porte erano di zaffiro e di smeraldo, le mu­ra di pietre preziose e le torri di oro purissimo.
— Quella èia casa di Dio! — esclamò Vincenzi­no. Del mio Dio — precisò poi.
— No, quella è la pasa del mio Dio — disse con­vinto Mohamed.
— Ma se è come quella del racconto della Bibbia che mi leggeva la nonna a casa, la sera! — disse Vincenzino, quasi piagnucolando.
— Non è possibile, guarda: ci sono due giardini con frutta, palme e melegrane. E anche due fonti zampillanti: è tutto proprio com'è decritto nel li­bro del Corano.
— Scommetti che è la casa del mio Dio? — disse Vincenzino.
— Scommetti che è la casa del mio Dio? — disse Mohamed.
Così dicendo, i due bambini corsero verso 1' in­gresso principale davanti al quale stavano due Angeli, in candide vesti.
— Abita qui la Trinità? — domandò Vincenzino.
— Sì — rispose uno dei due angeli, sorridendo. Per nulla convinto, Mohamed domandò:
— Abita qui Allah?
— Sì — rispose l'altro angelo, con un identico sorriso.
— Andiamo a vedere di persona — disse Moha­med, che era un tipo pratico. Forse il tuo Dio e il mio Dio abitano nella stessa casa. Con grandissimo stupore, Vincenzino e Mohamed dovettero constatare che c'era un solo Dio, sedu­to sul suo trono sfavillante di luce.
—— Tu sei Trinità? — domandò il piccolo cattolico.
— Sì, lo sono.
— Tu sei Allah? — domandò il piccolo musul­mano;
— Sì, lo sono.
— Ma allora hai due nomi! — constatarono i bambini, stupefatti.
— Non solo due, ne ho molti di più! — disse Dio, divertito — Mi chiamano persino Caso, Natura, ma sono sempre io !
— Senti — disse Mohamed, il tipo pratico — non si potrebbe chiamarti con un nome solo, visto che tu sei solo Uno? Così, tanto per non fare confu­sione.
— Chiamatemi Amore — disse Dio, stringendo­ si al petto il piccolo cattolico e il piccolo musul­mano.

giovedì 4 giugno 2009

LA CARITA' PULSA NEL CUORE DI ROMA.

I personaggi principali di questa vicenda di carita' umana sono tanti ma ne nominerei solamente due, Dino Impagliazzo, in primis, l'Imperatore della Carita' ed Edoardo Lagana', assieme alle proprie mogli Fernanda e Marisa.
Dino ed Edoardo, vorrei puntualizzare, sono due ottimi miei amici e tutti e tre facciamo parte del Movimento dei Focolari, fondato dalla mai dimenticata Chiara Lubich.
Da due anni loro due, con l'aiuto di altri volontari, stanno letteralmente sfamando un gruppo d'indigenti, che bivaccano nelle stazioni ferroviarie, specialmente la Tuscolana, cucinando i pasti (un buon primo, un secondo o dei panini, frutta e qualche volta dolce, caffe', the e vino, per non parlare a Natale ed a Pasqua, quanta grazia di Dio viene distribuita). Ed il tutto si svolge all'aperto, dietro una transenna, dove i poveri si mettono in fila, per avere il dovuto.
Due anni fa, all'inizio dell'attivita' , "Il Messaggero" si occupo' di questa vicenda, scrivendo l'articolo riportato di seguito. Ma non solo i giornali posero l'attenzione su questo gruppo, supportato anche dalla Confraternita della Misericordia, ma anche Rai 2 e Rai 3, mandarono in onda esaurienti servizi nel corso della cronaca romana dei loro telegiornali.
L'attivita' in due anni si e' allargata al punto tale, da coinvolgere altre parrocchie della zona del Tuscolano, specialmente S. Antonio da Padova in Circonvallazione Appia e S. Antonio da Padova in piazza Asti. Quest'ultima ha messo a disposizione per un certo tempo le cucine dei Padri Rogazionisti, che ivi sono residenti, la prima dei locali dove riporre la gran quantita' di alimenti che arrivano da diverse parti. Per esempio la Todis di Fiano Romano, assicura periodicamente ingenti quantita' di prodotti alimentari, che non vende piu', ma in ottimo stato di conservazione.
In ultimo, una parrocchia in via Narni, dedicata al S. Cuore, ha messo a disposizione dei locali, dove imbastire mense provvisorie dalle 20:30 alle 21:15 della domenica sera e cosi' queste persone beneficiate possono consumare un pasto al coperto, specialmente nei giorni in cui il tempo non e' buono.
Questo vuole essere un mio regalo personale a questi personaggi coraggiosi, che d'inverno sfidano anche l'intemperie e talvolta, loro malgrado sono coinvolti di tanto in tanto in piccole risse da sedare. Ci vuole cuore, fegato e tanto Spirito.
Infine annuncio che Edoardo e sua moglie Marisa stanno probabilmente preparando un sito o un blog, tutto incentrato sull'attivita' della Stazione Tuscolana, dove verranno inseriti articoli, novita' ed altre informazioni.
Le mie piu' sincere congratulazioni!
(Paolo Carlizza, giu 09).

Commento di Paolo Carlizza nel maggio 2007.
Dino e' un mio caro amico. Da lui e' partita l'idea di organizzare cene la domenica sera per i barboni alla Stazione Tuscolana. Di questo progetto ne sentivo parlare via via che prendeva corpo, nelle nostre riunioni settimanali. In tre settimane l'iniziativa, dopo un decollo iniziale abbastanza soddisfacente, ha avuto un'esplosione di successo inaudita.Tant'e' vero che e' stata segnalata dal Messaggero in Cronaca di Roma di oggi. Bravi tutti i collaboratori, ma l'appellativo di GRANDE, Dino se lo merita, anche considerando che non e' piu' un giovincello di primo pelo. Senza impegno, mi chiedo se volessimo eventualmente contribuire pure noi, inviando o qualche soldo o fare panini oppure ancora vogliamo impegnarci in qualche modo in loco: l'impegno e' aperto a tutti e potrebbe essere anche un'esperienza interessante ed al piu' potrebbero nascere anche rapporti nuovi con persone che non immagineremmo mai di conoscere. Saluti a tutti.


Da "Il Messaggero" del 20 marzo 2007.

Ogni sera alla Stazione Tuscolana viene servito un pasto caldo ai poveri.Era rimasta scoperta la domenica, un gruppo di abitanti dell’Appio- Tuscolano si è offerto di cucinare. Ai panini pensano altre famiglie.

Sono pensionati ma anche giovani: passano ore in cucina per poter sfamare e servire barboni e indigenti.





Dice: DINO, 77 ANNI ( a sinistra nella foto sopra, con Mino, un suo vicino di casa).
“Ho preparato la classica pasta e fagioli romana, ma la prossima volta ne faccio di più. C’è una molla che mi porta sempre dove c’è bisogno”.


Dice :ANGELA, 61 ANNI .
“Non avevo mai cucinato per 100 persone, ma che soddisfazione. Sono creature a cui voler bene . Più utile essere qui, che pensare a se stessi “.




Volontari al lavoro.



«Che mi puoi fare 20 panini?». Dino l’ha chiesto a Mino, il vicino di casa. Funziona così, più banale di quanto uno s’immagini. Perché la domenica era scoperta. Come se i poveri la domenica non mangiassero. Ora non più, ora alla Stazione Tuscolana anche quel giorno c’è un pasto caldo per chi ne ha bisogno.E’ un gruppo misto, per lo più privati cittadini, quello che da quattro settimane si occupa di portare ogni domenica del cibo a barboni, senzatetto, senza niente, disgraziati metropolitani. Si sono offerti di aiutare anche i ragazzi della Misericordia di Roma, un’associazione nata da poco, con le loro divise celesti e gialle, ci sono i giovani delle parrocchie Santissimo Corpo e Sangue di Cristo e Santa Caterina, anonimi abitanti del quartiere Appio-Tuscolano.Cinque coppie italiane a turno cucinano il primo piatto. Molte altre le persone disposte a far panini, almeno 20 a famiglia, in modo da arrivare a 120/140. Domenica scorsa toccava a Dino Impagliazzo, 77 anni, ex dirigente Inps. E’ arrivato con due pentoloni grandi così: «Ho cucinato la classica pasta e fagioli romana. Patate, carote, odori vari». Mentre parla, i commensali (in realtà mangiano in piedi, al massimo appoggiano il piatto sulle selle e i bauletti dei motorini parcheggiati davanti alla stazione Tuscolana) rifanno il giro, si rimettono in fila per avere un altro piatto, «perché la fame è fame», dice un volontario comprensivo, «e allora la prossima volta gliene facciamo un po’ di più», promette Dino.Questa volta la signora Angela ha fatto solo il tè, ma la pasta al ragù della domenica precedente ancora se la ricordano nel piazzale della stazione. «Non avevo mai cucinato per 100 persone, io e mio marito siamo stati dalle quattro all’una di notte a tagliare odori e cuocere il ragù. Ma quanti complimenti, che soddisfazione, dopo tanta fatica...».Annamaria Roccatano, la moglie di Mino De Napoli, ha passato tutto il pomeriggio ai fornelli, a preparare frittate di zucchine, patate e carciofi, da mettere nei panini. Adesso dà una mano ai volontari, tiene il piatto, passa le posate. In fila ci saranno un centinaio di persone, il pasto viene consumato in silenzio, tra imbarazzo e dignità. Ognuno si è aggiustato in un angolo, ma certo la situazione
non è delle più comode. Manca tutto, c’è solo l’entusiasmo di certa gente. Alle nove è tutto finito, i poveri scompaiono nella notte, i volontari tornano a casa alla spicciolata, dopo essersi messi d’accordo sui prossimi panini da preparare, su come nutrire quel rumeno che ha perso i denti, su dove trovare una sistemazione per Gianni, una visita specialistica a Luisa.«Credo che ogni persona in difficoltà abbia bisogno dell’aiuto dell’altro. E’ la molla che mi fa sempre trovare in situazioni di bisogno», spiega Dino, semplicemente. Meno male che c’è questa “molla”, meno male che nel silenzio indolente e disincantato della domenica sera romana, certe persone sono sotto la pioggia, con un tegame in mano, a distribuire cibo, consigli, pacche sulle spalle. La signora Angela, 61 anni, ex assicuratrice in pensione dagli occhi chiari e buoni, è rimasta fino alla fine, fino a quando l’ultimo poveraccio non si è incamminato chissà dove. «Sono creature a cui voler bene. Piuttosto che starsene tranquilli a casa, a pensare alle nostre comodità, credo che nella vita valga la pena aiutare gli altri. E’ più utile per tutti». A Dino e Mino questa sera è venuta un’idea: «Basterebbero sei panini a famiglia, mettiamo un cartello nella bacheca del nostro condominio di via Imera: chi vuole partecipa». E’ scattata la “molla”, e sembra contagiosa.
Cinque coppie a turno cucinano il primo, altri fanno i paniniSi mangia in piedi, in silenzio e c’è chi fa il bis.





Anche la Confraternita della Misericordia da’ una mano.

La Confraternita della Misericordia risale al 1200, è dunque il più antico movimento di volontari che c’è in Italia. E’ nata a Firenze, ma ora ha sedi in ogni parte del Paese. Molte quelle presenti anche a Roma. L’ultima nata, a settembre 2006 (ancora non ha una sede, si appoggia alla parrocchia del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo) è all’Appio-Tuscolano. «Siamo 45 persone, per lo più studenti universitari - spiega Valerio Esposito, 26 anni, che a breve si laureerà in Scienze applicate ai beni culturali - che cerchiamo di aiutare le persone in difficoltà». I campi di azione sono sanità, sociale e protezione civile. La sede è in via Narni, angolo via Assisi, aperta il giovedì dalle 19 alle 22,30 e il sabato dalle 16 alle 19. Per informazioni, telefonare al 329/6005060. Nuovi volontari di ogni età sono ben graditi.



Una piccola formazione della Confraternita della Misericordia.

martedì 12 maggio 2009

Diario di una famiglia dopo il terremoto

A chi capita di leggere quotidianamente "La Repubblica" , in cronaca, c'e' una rubrica curata dalla giornalista Jenner Meletti, dove viene descritta la vita quotidiana di una famiglia che vive in una tendopoli, in seguito al devastante terremoto dell'Aquila del 6 aprile scorso.
Ho preferito prendere e riportare in questa sede un brano dedicato ai bambini, per far capire quanto talvolta e' difficile recuperare le situazioni precedenti nelle persone coinvolte, in questa drammatica avventura della loro vita, dove una gran parte di loro ha perso i propri cari, i propri beni e addirittura la casa.
Ma nonostante tutte le difficolta' la vita riprende proprio da queste forze fresche, che saranno tra qualche anno il futuro di quelle terre.


La filastrocca del terremoto e il bernoccolo del gatto.

L'AQUILA - Non ci sono soltanto girotondi e canzoncine, alle feste dei bambini sfollati per terremoto. "I piccoli - dice Cristina, che lavora come animatrice volontaria - hanno subìto un grave trauma. Ora vivono nelle tende o negli hotel della costa e hanno perso tanti punti di riferimento: la casa, la scuola, gli amici... Non sempre riescono a parlare di ciò che è successo. La festa serve a incontrare altri bimbi e anche a parlare di quel trauma che si portano dentro". Ecco allora la "Filastrocca del terremoto", preparata da un gruppo di psicologi e consegnata alle maestre di asili e scuole elementari e alle animatrici delle feste. Si legge la filastrocca, poi si chiedono i commenti ai bambini, con le parole o con un disegno. Ma prima di tutto, c'è un prologo che cerca di spiegare perché, ogni tanto, la terra si mette a tremare. "Proprio mentre stavamo dormendo, ecco il terremoto". "Ma i terremoti sono proprio così, capitano quanto meno te lo aspetti". "Ma cosa è successo alla nostra terra?". "Ah, scusate, ancora non mi sono presentato: sono Trombetta". "E io sono Prof. Pof e ho deciso che bisogna informarsi meglio su questi terremoti". "Beh, il mio uovo sodo rotto ci può aiutare a spiegare come fa la terra a muoversi". "Grazie Trombetta. Fate finta che anche la Terra sia un uovo sodo... La crosta che forma i continenti e il fondo marino è rotta in vari pezzi. Questi enormi pezzi si chiamano placche. Al centro c'è un nucleo duro e molto, molto caldo". "E la parte bianca dell'uovo che cos'è?". "Si chiama mantello, ed è uno strato di roccia incandescente. Sopra questo mantello poggiano le placche con i continenti e i mari. Il calore provoca dei movimenti dentro il mantello, così anche le placche si muovono". "Quindi è come se la nostra Terra ballasse un po'?". "Proprio così... E un forte terremoto, accidenti a lui, provoca dei danni che spesso provocano altri danni". "Come faccio io, Prof Pof". "Esatto, Trombetta. E io sono molto calmo con te, e non perdo la testa... Certo, mi fa un po' paura ma resto calmo". "Quindi mi vuoi dire che avere paura del terremoto è normale e che bisogna rimanere calmi". "Proprio così, Trombetta. E ora puoi raccontare la nostra filastrocca su cosa bisogna fare se arriva il terremoto?". "Certo, Prof. Pof. Con vero piacere". A questo punto - racconta Cristina - l'attenzione dei bambini è catturata. Non resta che presentare il protagonista della filastrocca, un gatto davvero speciale. "Cari bambini e bambine, conoscete Gatto Spillo? E' un gatto molto speciale: va a scuola, gli piace studiare e colorare e sa anche leggere. Perciò, quando succede qualcosa di strano, come una scossa di terremoto che fa muovere e cadere ogni cosa, capisce subito cosa deve fare. Basta poco per sapere come comportarsi se arriva il terremoto". IN CASA BOLLE BOLLE IL MINESTRONE IN TV C'E' UN BEL CARTONE. TUTTO E' CALMO, STAMATTINA IN SALOTTO ED IN CUCINA MARCO ADESSO STA PER BERE UN FRULLATO NEL BICCHIERE MENTRE ANNA, LI' VICINO STA LEGGENDO UN GIORNALINO. SUL DIVANO GATTO SPILLO DORME, RUSSA E STA TRANQUILLO. MA AD UN TRATTO C'E' LA SCOSSA , FORTE FORTE GROSSA GROSSA. IN CUCINA ED IN SALOTTO GIA' SUCCEDE UN QUARANTOTTO BALLA LA TELEVISIONE, SUL FORNELLO IL MINESTRONE IL BICCHIERE DI FRULLATO SUL PIGIAMA SI E ' VERSATO E UN LIBRO, MAMMA MIA, CADE DALLA LIBRERIA MA OGNI BIMBO BRAVO E SAGGIO NON SI PERDE DI CORAGGIO E SA FARE, CALMO E LESTO OGNI COSA BENE E PRESTO. SOTTO AL TAVOLO IN CUCINA SI RIFUGIA LA BAMBINA. D'IMPROVVISO A SPILLO GATTO CADE IN TESTA UN BEL RITRATTO. FILA MARCO (MOSSA ACCORTA) SOTTO L'ARCO DELLA PORTA. PER NON FARE CONFUSIONE SPILLO LEGGE UN RIASSUNTONE Ed ecco il riassuntone delle raccomandazioni. "SE SEI IN CASA". "ALLONTANATI DA MENSOLE, ARMADI, LAMPADE: POSSONO CADERTI ADDOSSO. STA LONTANO DAI FORNELLI: UNA PENTOLA SI PUO' ROVESCIARE NON SALIRE, NON SCENDERE DALLE SCALE: POSSONO CROLLARE. NON USARE MAI L'ASCENSORE: PUO' BLOCCARSI. RIPARATI SOTTO IL TAVOLO. RIPARATI NEL VANO DALLA PORTA". LEGGE E IMPARA GATTO SPILLO E SI SENTE PIU' TRANQUILLO. ED OGNI BIMBO BRAVO E SAGGIO NON SI PERDE DI CORAGGIO E SA FARE, CALMO E LESTO, CON L'AIUTO DEL SUO INGEGNO... UN BELLISSIMO DISEGNO!". Per fortuna, grazie all'aiuto di tanti volontari, carta e pennarelli non mancano. "Il disegno - dice Cristina- serve a comprendere le reazioni dei bimbi. C'è chi disegna il Gatto Spillo su un prato, tutto felice. Questo significa che ancora nega l'evento del terremoto. C'è chi disegna il Gatto senza bocca, a fianco di un quadro rotto e così manda a dire che anche lui è senza bocca, non vuol parlare di quella notte. Tanti però disegnano Gatto Spillo con un bernoccolo in testa, dentro una casina che è proprio uguale alla tenda dove i bimbi vivono oggi. E' un buon inizio. Il bimbo accetta la realtà, vede un futuro. Ma oltre questi tentativi di ascolto e terapia non riusciamo ad andare. I consultori sono distrutti dal terremoto, è impossibile avviare terapie individuali. Almeno abbiamo un luogo dove i piccoli possono parlare di ciò che si portano dentro".
Jenner Meletti - 11 maggio 2009