venerdì 10 luglio 2009

LAURETTA L'ANGELO DEI BAMBINI SOFFERENTI.

Introduzione.


L'altro giorno mando una e-mail al mio amico Oreste Paliotti, che lavora presso il giornale di Citta' Nuova, per metterlo a conoscenza di un blog che ho aperto nella rete, dedicato ai viaggi ed alle escursioni e lui mi risponde con un invito per una serata speciale, da condividere con una donna particolare, che raccontera' delle esperienze in cui i protagonisti sono i bambini. Non comuni o normali bambini che vivono una vita tremendamente normale, fatta di scuola, giochi e serena vita familiare, ma bambini che stanno in ospedale e che soffrono per lo piu' di malattie gravi ed a volte anche irrimediabili.
E quindi lunedi' 6 luglio alle ore 21, mi trovo in via Tor de' Conti, 15, in casa Maritti, amici di Oreste, dietro l'arco dei Pantani, in prossimita' del foro di Traiano a Roma, in un ambiente, che deve essere stato una casa od una struttura architettonica dell'antica Roma (faceva tra l'altro anche un bel fresco li' dentro), con una platea di sedie disposte a ferro di cavallo, dove gia' erano seduti un buon numero d'invitati pronti ad ascoltare Lauretta.
Si' Lauretta, che gia' stava seduta pronta per il suo intervento, vicino ad un grande pianoforte, che dava un tocco teatrale a tutto l'insieme.
Una volta che la platea e' stata riempita, Oreste, l'amico dell'e-mail di cui sopra, che e' anche giornalista, induce Lauretta a raccontare la sua esperienza. Si crea subito un silenzio ed un'attenzione particolare e la donna comincia a raccontare.
Lauretta voleva fare la professoressa di filosofia ed aveva chiesto ad un prelato un aiuto per trovare una cattedra o una supplenza, ma il caso volle altrimenti. Comincio' a scrivere fiabe per bambini e fu incoraggiata a proseguire in questa attivita' ed allora addio filosofia...
Dato che era brava a scrivere fiabe, si sentiva capace, ed aveva una voce molto suadente, anche a raccontarle. Quindi chiese di poterle raccontare ai bambini in ospedale, per alleviargli le sofferenze. Ma la strada doveva presentarsi in salita, perche' le assegnarono al Policlinico di Roma, il reparto di oncologia, dove un certo numero di bambini versava in condizioni molto critiche di salute ed una parte di questi non aveva grandi speranze di sopravvivere, tanto il male era avanzato.

Li', Lauretta apprese la gioia del donare nella sofferenza e questo la fortificava sempre di piu'. Era giovane ed aveva poco piu' di venti-ventidue anni. Ma di questo sforzo era ripagata dai bambini stessi, che hanno uno spirito che non si deprime mai, che vogliono sempre giocare, fare tante cose. purche' si facciano, ascoltare fatti dai grandi incessantemente.
In questa esperienza ci sono state tante situazioni gioiose e tristi che ha incontrato, ma non si e' mai fermata. Aveva i suoi bambini e le sue nuove favole da scrivere e finora, dopo quarant'anni d'esperienza, ne ha scritte parecchie.
In questo arco di anni ha amato parecchio, ma ha anche ricevuto amore, perche' i bambini l'hanno sempre considerata una madre, una sorella od una compagna di giochi.
E quanti dolori, quanti ne ha visti morire! Proprio per questo era sempre sul punto di smettere con questa attivita', perche' le recava troppo dolore troppa tristezza la morte di un bambino. Ma poi non so come, trovava sempre la forza per ricominciare e non gettare mai la spugna.
Le sue favole sono abbastanza note e godono anche di una tiratura discreta nelle librerie e sono firmate come Laura o Lauretta Perassi.
Per completare il quadro di questa persona, segue un articolo del mio amico Oreste ed infine una sua breve favola, ma molto significativa.
(Paolo Carlizza)


Lauretta e il dolore innocente.

25-05-2006 di Oreste Paliotti

Alloggia in un austero pensionato religioso, ma basta varcare una porta - come l'armadio di C. S. Lewis che ti introduce nel mondo fantastico di Narnia - ed entri in un ambiente luminoso, allegro e colorato. È il regno di Lauretta, quasi una fatina capace di trasformare un punto interrogativo in esclamativo, come nell'ultima sua favola pubblicata nella nostra Fantasilandia. Minuta, sorridente, vivacissima, corrisponde perfettamente a questi versi che una bambina di quattro anni le ha dedicato: Lauretta è come un pesciolino/oggi vestita di rosa, domani di turchino./ Lauretta è come un uccellino/ che vola di stanza in stanza e chiama ogni bambino.... Mi guardo intorno come Alice nel paese delle meraviglie. La camera è zeppa di peluches, di angioletti e di altri angeli: le foto dei suoi piccoli amici. E poi libri e libri: favole ovviamente, ma anche Sacra Scrittura, dottori della Chiesa come sant'Agostino, filosofi come Kierkegaard, scrittori e poeti come Péguy, Tagore, Saint-Exupéry... Sono nata a Stresa, sul Lago Maggiore, ma da dodici anni vivo a Roma, città che amo moltissimo: cambiare ambiente ed abitudini è risultato molto stimolante per me in quanto scrittrice. Infatti nel solo primo anno qui nella capitale ho scritto un'intera raccolta di favole: Bambina Speranza, edita da Gribaudi. Da allora sono già una dozzina le tue pubblicazioni.Ma come è nata Lauretta scrittrice? È stato per caso. Ero orientata infatti all'insegnamento. Studentessa di lettere e filosofia alla Cattolica di Milano, nel 1983 avevo chiesto un colloquio a padre Raniero Cantalamessa, mio professo- re di Storia delle origini cristiane, ma a causa della mia estrema timidezza avevo pensato di spiegarmi per lettera. Quando però mi sono trovata davanti quel foglio bianco, è successa una cosa strana: ho cominciato a scrivere C'era una volta una rosellina.... Naturalmente dietro questa rosellina mi nascondevo io con i miei sentimenti, le mie domande. La cosa ha funzionato: padre Cantalamessa ha capito e mi ha dato le risposte che mi aspettavo. Non solo, ma osservando che avevo un talento mi ha incoraggiata a scrivere. Le favole poi mi hanno aperto una seconda strada, quella del volontariato in ospedale. Nei primi mesi a Roma non conoscevo ancora nessuno e un giorno ho pensato di andarle a leggere ai bambini in ospedale. Il cappellano del Policlinico Umberto I al quale mi sono rivolta per telefono mi ha risposto di sì, che potevo farlo, ma in Oncologia pediatrica. Era l'ultimo posto dove avrei voluto mettere piede, in quanto tutti e due i miei genitori erano morti di cancro.Ma al tono risoluto del cappellano non ho saputo tirarmi indietro. Il giorno in cui ho messo piede in quel reparto, la paura mi è passata vedendo Mariachiara: una bambina bellissima, malgrado la testolina segnata da una cicatrice che andava da un orecchio all'altro. A me, che colleziono cerchietti per i capelli, è sembrato il cerchietto più originale mai visto! E così lei ha addolcito il mio primo impatto con la dura realtà dell'ospedale. Mariachiara mi ha dato lezioni di pazienza, di eroismo e di fede, e così pure tanti altri piccoli ammalati come lei. Vedo qui tante foto: i tuoi piccoli amici dell'Oncologia... Sono ormai ben oltre il centinaio quelli che ho seguito finora. Io considero questa la grazia più grande e più faticosa ricevuta dal Signore. Subito dopo che Mariachiara ha lasciato questa terra, ho sentito l'impulso di scriverle una letterina. Da allora mi è venuto spontaneo indirizzarne una ad ogni bimbo andato in Cielo: soprattutto per non dimenticare le loro preziose lezioni di vita. Così è nata la raccolta Noi giocheremo in eterno, titolo preso da una profezia di Zaccaria che dice: Gerusalemme formicolerà di fanciulli e di fanciulle che giocheranno sulle sue piazze. È come se tutti questi piccoli mi abbiano dato appuntamento in Paradiso, e immagino che il giorno in cui arriverò lì si metteranno a gridare: Lauretta, finalmente! Finalmente riprendiamo a giocare!. Cosa ha suscitato in te questo contatto col dolore innocente? Non posso dire certo di essermi data delle risposte; so solo che mi devo fermare davanti a questo mistero. Preferisco raccontarti un'esperienza: mentre stavo nella sala giochi del Policlinico, Giuseppe, 14 anni (aveva un sarcoma e negli ultimi tempi la morfina non bastava più a calmargli i dolori), mi ha mandata a chiamare. L'ho trovato seduto sul letto con un flauto tra le mani. Sai, ho imparato la Primavera di Vivaldi e te la voglio far sentire. Ha cominciato a suonare, ma io di quella musica non ho sentito una nota sola, troppo presa a guardare la primavera che risplendeva nei suoi occhi. Quando ora leggo il vangelo della Trasfigurazione di Gesù non posso fare a meno di pensare a Giuseppe, quella sera, a quel suo viso reso pulito, trasparente, da un arduo cammino di accettazione. Una delle ultime sere, ha indugiato a lungo a farmi ciao, ciao! con la mano. Entrambi sapevamo che era un addio. In strada, un pensiero: Signore, io non capisco cos'è la sofferenza, tanto meno quella dei bambini; ma se quella accettata produce questi frutti, io ti prometto che mai più la maledirò.... A differenza poi dei loro genitori, che spesso hanno scatti di rabbia, di ribellione contro Dio, i bambini non hanno atteggiamenti del genere. Penso a Marianeve, 7 anni. Stavamo disegnando, quando lei all'improvviso mi ha detto con grande impeto: Sai, Lauretta, io sono sicura che Gesù mi guarisce!. Poi s'è rivolta alla mamma: Vero, mamma, che Gesù mi gua- risce?. Ho visto il viso di lei irrigidirsi; poi, con voce estremamente dura: Nevina, se Dio voleva fare qualcosa, non ti avrebbe fatta ammalare!. Al che la bambina, senza scomporsi: Ma mamma, Dio non le fa queste cose, è il diavolo che le fa!. Perché nella loro semplicità i bambini ragionano così: Dio è buono, non può fare il male; il male quindi può venire solo dal diavolo. E a me è venuto in mente il salmo: Beato l'uomo che non imputa a Dio alcun male. Ma che effetto fanno queste favole ai bambini? Non di rado si identificano nella storia. È il caso di Mariachiara alla quale avevo letto la favola di Origami: una bambina ha costruito un fiore di carta così bello che sembra vero, per cui le viene naturale metterlo dentro un vasetto con dell'acqua. Origami, che si sente anche lui vero, gode della luce del sole, del profumo degli altri fiori. Finché un giorno la mamma della bambina, temendo che nell'acqua quel fiore di carta possa sciuparsi, lo poggia sulla scrivania. Ma a questo punto, fuori dall'elemento vitale, lui comincia a star male... Arrivata alla frase Il fiore sentì venir meno le sue forze, allora raccolse i petali intorno a sé e non pensò più a niente, Mariachiara che ascoltava con grande attenzione mi ha fermata:Ma allora Origami sono io!. A quel punto ho capito di avere in mano uno strumento per parlare con i bambini di pensieri e paure che non osano esprimere agli adulti perché sono coscienti che loro non dicono sempre la verità. E come vengono accolte dagli adulti le tue favole? Le apprezzano anche loro, forse perché trasfigurare la realtà è un modo per comprenderla meglio. So di tanti che le leggono prima di addormentarsi, mentre altri le usano per la catechesi (in fondo richiamano un po' le parabole evangeliche). Io stessa tengo degli incontri nelle parrocchie e nelle scuole: la lettura di una favola diventa il punto di partenza per arrivare a spiegare la parola di Dio. Un po' in controtendenza rispetto al mondo d'oggi che privilegia l'immagine... È vero. Io però credo fermamente nel potere evocativo della parola. Sempre, infatti, quando incomincio a leggere una favola, i bambini mi ascoltano incantati. Gianfranco Restelli LA NOTTE DI DIO Una favola nata in ospedale. Un giorno, all'inizio del mondo, l'uomo si presentò davanti a Dio per chiedergli di far sparire il dolore dalla faccia della terra. L'uomo aveva un figlio ammalato e non poteva sopportare di vederlo soffrire così. Il dolore è quanto di più ingiusto tu abbia mai creato sulla terra disse con voce dura. Dio spalancò gli occhi per la sorpresa e rispose pacatamente: Figlio mio, io non posso proprio fare niente. Non l'ho creato io, il dolore. Nel mondo, così com'era uscito dalle mie mani, esso non c'era. Ne sono ben sicuro perché, quando ho contemplato tutto quello che avevo creato, ho visto che tutto era buono. Stai attento a non attribuire a me quello che hai fatto tu. Sei tu che hai introdotto il disordine, e di conseguenza il dolore, nel mondo. L'uomo chinò il capo confuso, farfugliò qualche parola dalla quale si capiva che, in fondo, sì, ammetteva di avere qualche colpa, ma ciononostante rinnovò la sua richiesta, tra le lacrime: Se non vuoi farlo per me, fallo almeno per mio figlio! Lui non ha colpa alcuna, non è giusto che soffra così. Dio ebbe compassione del pianto dell'uomo e rispose: Va', figlio mio, va' in pace, ché qualcosa posso fare. Va' a dormire tranquillo e torna da me domani. Dio rimase solo e, nella notte, nella solitudine immensa del creato addormentato, giunse le mani come una coppa e vi raccolse tutto il dolore del mondo. Poi si portò quella coppa alle labbra e la bevve, fino alla feccia. Il dolore gli straziò le carni, gli penetrò fino in fondo nel cuore. Nel cuore di Dio si svolse una lotta tremenda, tra il dolore e l'amore. Dio si sentì venire meno e pianse. Il cuore divino divenne come una grande tinozza, colma di lacrime che lavarono il dolore, lo purificarono, gli tolsero ogni bruttura. La mattina dopo, quando l'uomo tornò da Dio, si spaventò nel vederlo così pallido, così provato, ma non gli chiese nulla, preferiva non sapere quello che era successo. Dio parlò al dolore, in presenza dell'uomo, e gli disse: Va', figlio mio, torna sulla terra, non più segno di maledizione, ma di benedizione perché io ti concedo il potere di purificare il cuore dell'uomo cosicché, chi ti accoglierà nel mio nome, possa diventare una creatura nuova, primizia di una nuova creazione. Poi parlò all'uomo e gli disse: D'ora in poi, non ti domandare più il perché del dolore, ma guardane i frutti.

(da Noi giocheremo in eterno, Ancora 2000)

Vincenzino e Mohamed sono due bambini reali, che sono esistiti, conosciuti da Lauretta, in un periodo del suo volontariato in ospedale.
Prima in ospedale c'era solo Vincenzino, un bambino calabrese, che e' stato raggiunto dopo qualche tempo da Mohamed, proveniente dall'Iran.
Pur essendo di fede diversa i due diventano inseparabili amci per la pelle e nelle loro azioni quotidiane sono sempre insieme. Dove era l'uno, c'era l'altro, non li vedevi mai da soli o separati.
Purtroppo soffrivano di gravi mali ed erano destinati col tempo a soccombere, ma la cosa piu' straordinaria di questa esperienza e' che in realta', sono morti a tre ore di distanza l'uno dall'altro.
Lauretta nel suo grande dolore, dedica loro una magnifica favola di non molte parole, ma molto significativa e immagina che dopo la loro morte stanno camminando nell'aldila' diretti verso il Grande Trono, dove e' assiso il Creatore...
"Il nome di Dio" di Lauretta Perassi.

— Sei pronto, Vincenzino?— chiese con voce dolcissima l'Angelo che era entrato in quel mo­mento nella stanza del bimbo, all'ospedale.
— Sì! — rispose il bambino e aggiunse: Andiamo da Dio, vero?
L'angelo assentì col capo. Vincenzino mise fidu­cioso la sua manina in quella dell'angelo. Insie­me lasciarono l'ospedale, la città addormentata sotto una coltre di stelle, la terra verde azzurra e si inoltrarono lungo le vie del ciclo, scintillanti di luce. Il bimbo saltellava al fianco dell'angelo, quando, all'improvviso, si sentì chiamare:
— Vincenzino, dove vai? Aspettami! Si voltò indietro e vide venire verso di lui il suo amichetto Mohamed, compagno di tanti giochi, là in ospedale. Anche Mohamed era affiancato da un angelo che indossava una veste candida, stretta in vita da una fascia d'oro.
Sapendo che Mohamed era venuto da lontano per curarsi e che era in ospedale solo con il papa, Vin­cenzino domandò:
— L'hai detto al tuo papa?
— No, l'ho lasciato inginocchiato sul tappeto del­la preghiera. M'è sembrato il momento migliore, per partire. Sonò sicuro che Allah saprà consolar­lo, dettargli le risposte giuste in fondo al cuore.
— Allah? — domandò Vincenzino con stupore — E chi è Allah?--.
Mohamed scoppiò in una risata. Quella risata ar­gentina che lo contraddistingueva e che gli faceva brillare i grandi Occhi scuri.
— Allah è Dio!
— No, Dio si chiama Trinità — ribattè Vincenzi­no — Ne sono sicuro perché me l'ha detto mio padre.
— Anch'io sono sicuro che si chiama Allah, me l'ha detto mio padre — disse Mohamed. Poiché l'autorità di un papa non si mette in di­scussione, i due bambini dovettero concludere:
— Ma allora il tuo Dio non è uguale al mio!
— Questo vuoi dire che gli angeli non ci stanno portando dalla stessa parte!_— realizzò in un istante Vincenzino è aggiunse: Io non voglio ve­dere là Trinità, senza di te!
— Neppure io voglio vedere Allah, senza di te! Per fortuna, gli angeli stavano conversando ami­chevolmente tra di loro. Un'occhiata d'intesa pas­sò tra i due bambini che fecero dietrofront e si na­scosero in mezzo a un banco di nuvole.
— Adesso dobbiamo cercare un posto dove stare insieme — disse Mohamed. Mano nella mano, il piccolo musulmano e il pic­colo cattolico si incamminarono su una strada la stricata di turchesi.
Cammina cammina arrivarono in vista di una città le cui porte erano di zaffiro e di smeraldo, le mu­ra di pietre preziose e le torri di oro purissimo.
— Quella èia casa di Dio! — esclamò Vincenzi­no. Del mio Dio — precisò poi.
— No, quella è la pasa del mio Dio — disse con­vinto Mohamed.
— Ma se è come quella del racconto della Bibbia che mi leggeva la nonna a casa, la sera! — disse Vincenzino, quasi piagnucolando.
— Non è possibile, guarda: ci sono due giardini con frutta, palme e melegrane. E anche due fonti zampillanti: è tutto proprio com'è decritto nel li­bro del Corano.
— Scommetti che è la casa del mio Dio? — disse Vincenzino.
— Scommetti che è la casa del mio Dio? — disse Mohamed.
Così dicendo, i due bambini corsero verso 1' in­gresso principale davanti al quale stavano due Angeli, in candide vesti.
— Abita qui la Trinità? — domandò Vincenzino.
— Sì — rispose uno dei due angeli, sorridendo. Per nulla convinto, Mohamed domandò:
— Abita qui Allah?
— Sì — rispose l'altro angelo, con un identico sorriso.
— Andiamo a vedere di persona — disse Moha­med, che era un tipo pratico. Forse il tuo Dio e il mio Dio abitano nella stessa casa. Con grandissimo stupore, Vincenzino e Mohamed dovettero constatare che c'era un solo Dio, sedu­to sul suo trono sfavillante di luce.
—— Tu sei Trinità? — domandò il piccolo cattolico.
— Sì, lo sono.
— Tu sei Allah? — domandò il piccolo musul­mano;
— Sì, lo sono.
— Ma allora hai due nomi! — constatarono i bambini, stupefatti.
— Non solo due, ne ho molti di più! — disse Dio, divertito — Mi chiamano persino Caso, Natura, ma sono sempre io !
— Senti — disse Mohamed, il tipo pratico — non si potrebbe chiamarti con un nome solo, visto che tu sei solo Uno? Così, tanto per non fare confu­sione.
— Chiamatemi Amore — disse Dio, stringendo­ si al petto il piccolo cattolico e il piccolo musul­mano.