mercoledì 23 settembre 2009

IN QUELL'APPARTAMENTO - GARAGE DI VIA CAIO MAMILIO, 15 AL TUSCOLANO.

Introduzione.
La storia dell'umanita' e' stata piena di nefandezze, che guarda caso, si ripetono ciclicamente e con le stesse modalita': Cambiano solo le cosiddette condizioni al contorno, ovvero le circostanze.
Se, in piena seconda guerra mondiale, circa 70 anni fa, l'odio razziale ha portato a togliere dalla faccia della terra, in pochi anni una decina di milioni di perseguitati (gli ebrei, gli zingari ed altri gruppi etnici), ancora oggi la storia continua nella stessa faldariga, a farlo, specialmente nel conflitto oriente-occidente ed in certe zone interne dell'Africa. Quindi nulla di nuovo nel cuore dell'uomo.
A proposito l'altra settimana c'e' stata una celebrazione in memoria dello shoa in Germania nei campi di concentramento di Auswitz e Birkenau, in cui ci sono stati invitati tanti rappresentatnti mondiali; per l'Italia era presente anche la comunita' di S. Egidio. Significativo il discorso fatto dal Rabbino d'Isreale, per ricordare le barbarie avvenute e per alimentare la speranza che questi fatti non avvengano piu'.
Per questo, alcuni rappresentanti della comunita' di S. Egidio, dopo essere tornati a Roma hanno organizzato un incontro dedicato in una loro sede al quartiere tuscolano.
Parla Sergio...
Lunedi' mattina 20 settembre.
Incontro il mio collega Paolo Fabbreschi e ci andiamo a prendere un caffe' aziendale. Egli mi racconta che il giorno prima e' stato ad un incontro del X municipio (Cinecitta' - Roma), dove si e' festeggiato il giorno conclusivo del Ramadan. La giornata poteva assere anche il pretesto di finalizzare una determinata realta' ecumenica e cercare dialogo ed amicizia con gente di fede diversa dalla nostra cristiana.
Ovviamente tutto era stato organizzato dalla comunita' di S. Egidio, che da anni opera in questo settore.e alla fine c'e' stato anche un consistente banchetto, dove era predisposto un buffet pieno di ogni ben di Dio.
In conseguenza a questa giornata si e' pensato di organizzare per l'indomani sera un'incontro per raccontare l'esperienza, che la comunita' di S. Egidio aveva fatto una settimana prima in Germania, dove si e' celebrata la memoria dello shoa'.
Paolo mi dice se voglio andare con lui quella sera ed ho accettato di buon grado.
Alle otto di sera mi trovo in via Caio Mamilio 15, c'e' una rampa di garage in discesa ed immediatamente a destra si svolta un una struttura dotata di corridoio e di una grande sala interna.
Le sedie sono disposte a circolo, ma sono ancora vuote, c'e' solo Nicola ed il suo amico chel 'accompagna. Nicola e' un uomo disabile che sta su una carrozzella, con evidenti difficolta' nel parlare. Nonostante tutto fara' un intervento molto efficace, con soluzioni di Fede molto pratiche e veritiere.
Paolo non e' ancora arrivato, lo vedo poco dopo all'ingresso del numero 15.
Piano piano, sino alle 8 e mezza arrivano alla spicciolata tutti gli altri: Sergio, che dovra' presiedere la riunione, Valerio, un giovane ingegnere, che e' stato anche lui ad Auswitz la settimana scorsa, un paio di coppie e una decina di altre persone, con alcuni ragazzi e giovanni donne.
Verso le nove meno un quarto s'inizia e Sergio, un tipo di statura minuta, con i capelli ricci e brizzolati, comincia a parlare tra l'attenzione di tutti gli astanti.
Si comincia a parlare di razze considerate inferiori, per le loro differenziazioni comportamentali e politiche fino all'individuazione dei gruppi etnici da eliminare per risanare l'umanita'; siamo alla soglia degli anni trenta e vengono subito additati gli ebrei, per caratteristiche caratteriali non considerate civili e per la loro intraprendenza economica e gli zingari, gia' definiti come ladri di bambini.
L'umanita' deve essere ripulita dalla sozzura etnica, che puo' contaminare un normale sviluppo del progresso e quindi si decide di intraprendere, soprattutto da parte della "razza ariana", azioni che limitino i diritti civili di questa gente "inferiore". Poi piano piano le persecuzioni, e molte di queste rimarranno nascoste agli occhi del mondo per un po' di anni: tutto sara' rivelato a partire dal maggio 1945, quando le truppe sovietiche scopriranno tutte le atrocita' consumate nei campi di concentramento tedeschi.
Dopo un'esposione di carattere generale Sergio rende note alcune testimonianze: legge dei testi, che parlano e raccontano dettagliatamente le atrocita' consumate nei lager. Impressionante e sconvolgente la lettura di un brano da "La voce dei sommersi" di Carlo Saletti. Questo libro e' una raccolta di manoscritti di ebrei internati, destinati a morire, manoscritti che sono stati ritrovati dopo, che tutto si era svolto, nelle celle di prigionia, contenuti o nascosti in bottiglie in parte murate.
Il brano letto racconta di un certo numero di donne ebree trasportate completamente denudate su di un carro e rovesciate sul fondo stradale, alla stregua di un ammasso di ghiaia, allorche' si trovano in prossimita' delle camere a gas, dove dovranno morire asfissiate ed in seguito cremate nei forni crematori.
Sergio salta alcuni brani che sono scabrosissimi nelle descrizioni, per non turbare ulteriormente gli astanti.
Poi legge dei brani relativi alla "Notte" di Elie Wiesel, dove e' riassunta la vicenda di un padre cinquantenne ed un figlio dodicenne, che sono entrambi rinchiusi in un lager. Alla fine, si vedra' che anche loro si adegueranno al ritmo della vita di prigionia, che perderanno ogni senso di rabbia e di ribellione, per puro spirito di sopravvivenza.
Dopo questa prima parte, e' stato dato spazio ai commenti degli astanti e per primo e' stato Valerio a parlare, dato che anche lui, con Sergio era andato la scorsa settimana in Germania, alla celebrzione della memoria dello shoa'.
Valerio ha detto anzitutto, che, un conto e' leggere sui libri l'esperienza dello shoa', ed un altro e' vedere direttamente, anche se dopo sessantanni, i campi di concentramento: li', in sito, la tua mente comincia ad immaginare e a ricostruire le storie che si sono intrecciate nel primo quinquennio degli anni quaranta: pareva vederla questa gente che viveva di stenti, soffriva in schiavitu' ed era portata di fronte alla morte come niente. Addirittura, si dice che in un periodo di 90 giorni sono state portate a morte piu' di 400000 persone!
Come fare a non immaginare nel proprio luogo, questi efferati crimini dell'umanita'.
Subito dopo, ha affermato che la situazione dell'uomo nonostante tutto e' sempre la stessa e che ancor oggi, negli anni 2000, ci sono grosse persecuzioni, soprattutto verso le etnie piu' deboli: i corsi ed i ricorsi della storia.
Infine l'ultima affermazione di Valerio e' stata che il male non appartiene ad un'altro pianeta, ma a questa terna e non e' una cosa che vive al di fuori delle nostre realta' quitidiane, bensi' e' una dura realta' che ci tocca e ne siamo per forza partecipi, indipendentemente dalla nostra volonta' e per questo, dobbiamo avere la consapevolezza che bisogna combattere con mezzi opportuni cio' che ostacola una convivenza civile tra tutti gli abitanti di questa tormentata terra.
E' seguito poi l'intevento del mio collega Paolo, che ha ribabdito, che bisogna rimboccarsi le maniche, cercando di ritrovare i valori veri, da inculcare soprattutto ai giovani, ma partendo principalmente da un'istituzione, che sta rischiando di crollare: la famiglia.
Hanno chiuso altri due o tre interventi, di cui uno importante e' stato quello di Nicola: "Cio' che ci limita nei rapporti umani a qualsiasi livello e' la paura ed e' la paura stessa che scatena le guerre. Per questo bisogna aprirsi all'altro, ma soprattutto, come diceva G.P. II, aprire le porte a Cristo!".
Dulcis in fundo, Sergio, tramite il suo portatile, ci ha fatto vedere, traducendolo in italiano, frase per frase, il filmato della cerimonia a Birkenau dell'altra settimana, con il discorso in inglese che ha fatto il rabbino d'Israele. Nell'ultima parte del video e' stato ripreso il momento di una bellissima preghiera ebraica per i defunti, in onore alla memoria dell'olocausto.
Riporto per precisione l'intervista del rabbino, tradotta in italiano, immediatamente nelle righe seguenti, mentre se si clicca il seguente ipertesto ( video originale ) si ha il filmato della celebrazione della memoria, con il discorso stesso del rabbino.

Nel settembre del ’93 questa settimana 16 anni fa ebbi una lunga conversazione con il Papa Giovanni Paolo II a Castelgandolfo in Italia. All’inizio del nostro lungo incontro mi disse: “Mi ricordo di suo nonno, nella città di Cracovia, dove sono stato vescovo, durante la guerra mondiale.Ricordo suo nonno il Rabbino Frankel che andava verso la sinagoga per lo Shabbath il sabato, circondato da moltissimi bambini.”Gli chiesi: “Quanti nipoti ha?”Lui rispose: “47.”Ed il Papa mi chiese allora: “Quanti sono sopravvissuti all’Olocausto?”Io risposi: “Solo cinque.”42, compreso mio fratello, che aveva 13 anni, e tutti i miei cugini, erano morti durante l’Olocausto. Il Papa alzò gli occhi al cielo e disse: “Ho visitato già un centinaio di Stati. Ovunque io vada lo ripeto sempre con forza. Noi, tutta l’umanità, abbiamo l’obbligo e l’impegno di garantire un futuro ed una continuità ai nostri fratelli maggiori, gli Ebrei”.Noi oggi siamo qui riuniti grazie all’invito della Comunità di Sant’Egidio, che ci ha condotti a visitare insieme il più grande cimitero dell’umanità, della storia dell’umanità, nel luogo dove c’era la fabbrica della morte.Potete vedere la foto di Mengele, con un dito decideva se a destra o a sinistra, la vita o la morte.Ecco, era la fabbrica della morte.E il mondo era diviso in 3 parti.Una parte dove stavano gli assassini, i nazisti e la resistenza. Dall’altra parte le vittime. La terza parte era costituita dal mondo che restò in silenzio. E non disse una parola.Ecco perché oggi siamo qui.Per promettere a noi stessi, ai nostri figli ed alle generazioni future, come avete detto prima, NEVER AGAIN, mai più.Noi non dimenticheremo mai, non possiamo dimenticare, e faremo ogni sforzo affinché un tale orrore non si ripeta. In nessuna parte del mondo, contro nessuna nazione al mondo.Secondo i rapporti dell’ONU che io cito e ripeto in continuazione ogni giorno, di fame e solo di fame, non di malattie, non di incidenti automobilistici, non di Aids o di cancro, ma solo a causa della fame, 18.000 bambini muoiono ogni giorno. Da quando siamo arrivati ad Auschwitz ad oggi, mille bambini, neonati, bambini innocenti sono già morti di fame, principalmente in Asia ed in Africa. Ma non si vede nemmeno sulle prime pagine dei giornali, o nei titoli dei telegiornali. Su nessun canale. 18.000 bambini al giorno!Sant’Egidio si prende cura della salute dei poveri, dei bisognosi, delle vittime del passato e per evitare vittime innocenti nel futuro.Vedete qui oggi quante religioni sono rappresentate. Io faccio appello anche ai cugini del mondo islamico. Se possiamo camminare qui oggi spalla a spalla e deporre dei fiori, non possiamo anche sederci insieme ed avere un buon dialogo per risolvere tutti i conflitti e tutti i problemi e parlarci, l’uno con l’altro, come amici, come cugini, come vicini? Sì possiamo.Io avevo un amico, un sopravvissuto ad Auschwitz, un famoso scrittore che scrisse diversi libri sulla sua terribile esperienza.Mi diceva sempre: “Non scrivo mai con l’inchiostro, ma con il mio sangue.”Venne chiamato come testimone al processo di Adolf Eichmann. Dopo pochi minuti dall’inizio della sua testimonianza svenne e cadde a terra. Non poteva sopportare di testimoniare.Quando vide Eichmann, disse: “Io vengo da un paese in cui i bambini non sono mai nati e i fiori non crescevano più. Era un pianeta diverso, un pianeta chiamato Auschwitz. Vedo le loro facce.” Disse e poi svenne.Che la memoria del mio amico sia benedetta. Ciò non avvenne in un altro pianeta. Era il nostro pianeta. Sentivano la musica, leggevano libri, studiavano filosofia, morale, etica ed erano eletti in un modo molto democratico. Ma loro lo fecero. L’omicidio di 50 milioni di persone, compresi 6 milioni di Ebrei. Nessuno li aveva minacciati o messi in pericolo.Noi non avevamo armi. Non avevamo un paese, ne’ uno stato. Ne’ missili, ne’ razzi. Non avevamo una pistola in mano. Su questo pianeta!Dobbiamo essere sicuri che su questo pianeta non riappaia più un orrore simile.Finirò il mio discorso così come ho iniziato, con la memoria di Giovanni Paolo II.Mi chiese: “Rabbino Capo, lei ha dei figli?”Risposi di sì. “Vivono in Israele?” mi chiese.“Sì, tutti, anche i miei nipoti vivono tutti in Israele.”Ed egli mi disse:”Questa era la promessa di cui parlavo sul futuro e la continuità degli Ebrei.”Quando nel ’95 mi trovavo nel campo di Buchenwald, nella città di Weimar in Germania, dove venni liberato quando avevo 8 anni, sul muro della finestra della stanza delle torture vidi una parola “necumene”, in Yiddish "fai la vendetta". Era l’ultima parola di un uomo torturato in quella stanza, una vittima di Buchenwald. Vendetta. Quale vendetta possiamo fare noi? Sono un credente, credo nel Signore onnipotente, non solo perché sono un rabbino o un ebreo. Ma perché sono un essere umano. Io credo sia accaduto dal Cielo.Due o tre ore fa, qui a Cracovia, ero arrivato stanotte per partecipare all’Incontro, ho ricevuto una telefonata da mia nipote. “Nonno, mezz'ora fa ti ho dato alla luce un altro nipote." E’ nato oggi alle 7 in Israele.Questa è la mia vendetta. Questa è la mia risposta. Questa è la mia soluzione.Vivi e lascia vivere. Vivete insieme, in amicizia, in amore ed in pace. Grazie.
La serata si conclude alle 22:30, con la promessa di rivederci ben presto ad un incontro successivo.

(Paolo Carlizza)


lunedì 24 agosto 2009

UN POMERIGGIO DI AGOSTO A L'AQUILA E DINTORNI.

Introduzione.
Una gita di un giorno da un mio carissimo amico, mi ha portato nel mezzo di un campo di lavoro, costituito dai volontari di importanti associazioni a livello civile e religioso, per aiutare le persone rimaste coinvolte nel terremoto del 6 aprile a L'Aquila.
Una chiesa improvvisata ( le foto).

Dopo il terremoto del 6 aprile, organizzazioni di giovani volontari hanno costituito molti campi di lavoro. Le foto seguenti mostrano una chiesa costruita con attrezzature d'emergenza, nei pressi del campo di lavoro di S. Giacomo nei pressi di L'Aquila.

Appena sotto: con una grossa tenda e sei semplici gazebo sono state create la navata centrale e quelle laterali; al centro: officiazione della santa Messa, presenti i ragazzi volontari della confraternita della Misericordia provenienti da ogni parte d'Italia e gente della frazione di S. Giacomo; in basso: i volontari hanno costruito, mediante un traliccio in tubi un campanile ed lo stanno verniciando.
















































Angiolino.

Angiolino Colasante e' un ingegnere elettronico che vive a Chieti Scalo, e' professore in un istituto tecnico di questa citta', esercita la sua professione nei momenti liberi e appena puo' va persino ad aiutare i suoi in campagna ad Arielli, in provincia, dov'e' la casa dei genitori.
E' instancabile non si e' mai fermato da quando lo conosco.
Angiolino e' tutto questo e soprattutto e' mio amico; l'ho conosciuto ai tempi dell'Universita', e c'incontravamo spesso in facolta'. Ed e' nata una grande amicizia, anche per un interesse comune: frequentavamo il movimento dei focolari della non mai abbastanza compianta Chiara Lubich.
Con l'andare degli anni, Angiolino, che e' stato sempre un tipo generoso e predisposto ad aiutare la gente in difficolta', ha acquisito una sensibilita' organizzativa, che lo porta a operare dove c'e' bisogno. E quest'anno dopo il terremoto di L'Aquila, appena ha potuto e' entrato a far parte dell'organizzazione dei campi di lavoro, in collaborazione con altre associazioni civiche e religiose.


Cronaca di una breve visita all'Aquila.

Telefono da Roma ad Angiolino, che e' a casa a Chieti Scalo: - Senti, quand'e' che posso venirti a trovare? - E Lui: vieni sabato, pranzi da noi e cosi' il pomeriggio andiamo a fare una visita al campo di lavoro a L'Aquila. -
Sono d'accordo e sabato 22 agosto parto dalla Stazione Tiburtina alle 7 del mattino con il pullman Arpa, che fa una corsa quasi non stop fino a Chieti e a Pescara.
Alle 9:25 gia' sono a Chieti e vengo accolto con tutti gli onori, da Angiolino, la moglie Anna Maria e da tre figli, Paolo di 18, Simona di 16 , Marco, di 10 anni.
La mattina la impegniamo io, Angiolino ed i suoi tre figli ad andare a fare una passeggiata in montagna sul Blockhous della Maiella ( solo 45 minuti di macchina), poi al ritorno pranziamo nell'accogliente appartamento di Chieti dei miei amici ed alle quattro e mezza del pomeriggio si parte per l'Aquila, con Angiolino, Anna Maria e Marco.
Prendiamo l'autostrada A24 fino a Bussi e poi la statale che collega con l'Aquila.
Il primo tratto del viaggio e' tranquillo, con scenari e panorami montani da incorniciare, poi nei pressi di Barisciano comincia la zona dell'aquilano e iniziano a vedersi gli effetti del terremoto.
Da una parte e dall'altra della strada s'intravedono case lesionate, piu' o meno gravemente ed altre ancora addirittura crollate e tutte da rifare completamente.
Ti viene una tristezza nel cuore, al ricordo di esserci passato in questa zona nell'ottobre scorso in un assolato giorno di rigoglioso autunno, dove allora non si aveva il minimo sospetto di cosa sarebbe successo sei mesi dopo.
Il viaggio verso L'Aquila continua e si nota un altro aspetto delle conseguenze del terremoto: ai lati della strada, ogni tanto affiorano casette di legno, tipo baite, in vendita e chi ha i soldi per comprarle, gia' si assicura un tempestivo rifugio per l'inverno che verra'.
Poi balzano ai nostri occhi i numerosi accampamenti di tendopoli, nei pressi dei paesetti che incontriamo.
L'Aquila e' quasi alle porte e si vedono ogni tanto piccoli cantieri di case gia' pronte per gli sfollati: e' un buon segno.
Comunque per la cronaca, fino ad oggi 22 agosto Angiolino mi dice che ci sono in tre zone di L'Aquila, grossissimi cantieri, con palazzi agli ultimi ritocchi: tra un mese le prime consegne. Quindi sembra che il governo abbia mantenuto le promesse.
Passiamo vicino a Paganica e poi al bivio per Onna: quest'ultimo e' ancora piantonato dagli agenti e fanno passare solo chi ha il permesso.
L'atmosfera, si sente nell'aria, e' triste, rassegnata e di dolore, manca la vitalita' dei giorni miglori nei cuori della gente, che deve affrontare tanti problemi, lottare con le proprie forze contro realta' delle volte scomode e soprattutto contro le amministrazioni locali, che talvolta non collaborano e non soddisfano tempestivamente i bisogni e le esigenze del momento.
Non tutto va bene, c'e' gente che si lamenta, c'e' gente che e' stufa di condividere una tenda con altre famiglie, di non fare la doccia tutti i giorni, di usare bagni e strutture sanitarie da condividire con chissachi'; inoltre c'e' anche la paura, per fenomeni di sciacallaggio intelligente, di perdere il diritto di avere una casa subito, perche' si sono introdotte famiglie che ne hanno meno diritto o che non ne hanno addirittura per niente, tipo gruppi di intrepidi extracomunitari, che non avendo avuto la casa danneggiata, simulano di averne bisogno.
E' stata una cosa troppo grossa questo terremoto, ha paralizzato una provincia, se non un'intera regione.
Ma non tutto e' morto: i giovani riprenderanno le scuole tra un mese o meno e gli adulti hanno gia' ripreso il lavoro: gli abbruzzesi dal carattere forte ed orgoglioso non si lasciano abbattere e si stanno rimboccando le maniche.
Ora siamo a L'Aquila e lo spettacolo si fa piu' avvilente, perche si ha la visione dei tanti crolli avvenuti in citta', solo nei dintorni del centro la vita e' ritotnata quasi normale e la gente tornata a vivere nelle loro case, ma per il resto e' notte fonda. Ci sono ancora tante tendopoli, che dimostrano che siamo ancora lontani dalla normalita' completa.
Attraversiamo buona parte della citta' con l'animo sospeso e arriviamo alla frazione di S. Giacomo, dove e' il campo di lavoro dove opera Angiolino: c'e' una piccola chiesa con un bel campanile e li' ci fermiamo.
Si vede una tenda molto grande a pochi metri: la chiesa della frazione e' pericolante ed inagibile, allora i volontari ne hanno costruita una vicina articificialmente: una tenda fatta di impalcature di ferro ne costituisce la navata centrale, mentre le due navate laterali sono formate da tre gazebo messi in serie, per ogni navata. Non c'e' la croce sul davanti del "tetto", la devono ancora mettere, ma dentro c'e' tutto: l'altare, l'ambone ed un impianto microfonico; Infine due lunghe file di sedie riempiono la navata centrale.
A una decina di metri all'esterno della navata sinistra c'e' un incastellamento di tubi, alla sommita' del quale ci sono due campane: il campanile, per l'appunto. Dentro la struttura sono arrampicati tre ragazzi volontari, che stanno verniciando con l'antiruggine i tubi un po' arrugginiti, rimediati da qualche parte.Chissa' per quanto tempo dovra' questa chiesa provvisoria dovra' sostituire quella originale...
Arriviamo che stanno facendo la Messa Vespertina; infatti sono le sei passate del pomeriggio.
L'ambiente e' pieno di persone per lo piu' giovani, molti dei quali sono volontari del campo di lavoro a S. Giacomo.
La Liturgia si svolge regolarmente e senza intoppi, tra canti, letture e orazioni.
Poi c'e' l'alleluja, la lettura del Vangelo ed infine l'omelia.
Nell'omelia, il sacerdote, dopo aver commentato il vangelo, prende lo spunto di parlare amaramente della situazione attuale: denuncia tutte le strutture politiche, che prima fanno tante promesse e poi si dimenticano della gente e non viene risparmiato nemmeno il G8, svoltosi qui un mese prima. Promesse, soldi ed aiuti che non hanno rispettato le attese.
Terminata la messa, la giornata con il mio amico termina, perche' devo ritornare a Roma in serata. Ci salutiamo e ci ripromettiamo di vederci presto, magari essendo spettatori di una situazione notevolmente migliorata.

Un paio di minuti di scossa tellurica di quell'infausto 6 aprile, quanti problemi e situazioni dolorose hanno creato.
Tutto non finira' presto, e' inutile illudersi che nel prossimo inverno tutti saranno al caldo con tutte le proprie cose, ma si fara' il possibile, affinche' un grande numero di persone dimentichino questa tragica esperienza.
Ma le tracce di quest'evento saranno presenti per diversi anni, perche' quando accade un grave terremoto, dovunque e' cosi'.
L'importante e' non scoraggiarsi e cercare di vivere la vita nell'attimo presente, senza illudersi non piu' di tanto. Ma alla fine la costanza di chi avra' lottato portera' il giusto premio a chi ha creduto nella vita e nei veri valori, nonostante tutto.

(Paolo Carlizza)

venerdì 10 luglio 2009

LAURETTA L'ANGELO DEI BAMBINI SOFFERENTI.

Introduzione.


L'altro giorno mando una e-mail al mio amico Oreste Paliotti, che lavora presso il giornale di Citta' Nuova, per metterlo a conoscenza di un blog che ho aperto nella rete, dedicato ai viaggi ed alle escursioni e lui mi risponde con un invito per una serata speciale, da condividere con una donna particolare, che raccontera' delle esperienze in cui i protagonisti sono i bambini. Non comuni o normali bambini che vivono una vita tremendamente normale, fatta di scuola, giochi e serena vita familiare, ma bambini che stanno in ospedale e che soffrono per lo piu' di malattie gravi ed a volte anche irrimediabili.
E quindi lunedi' 6 luglio alle ore 21, mi trovo in via Tor de' Conti, 15, in casa Maritti, amici di Oreste, dietro l'arco dei Pantani, in prossimita' del foro di Traiano a Roma, in un ambiente, che deve essere stato una casa od una struttura architettonica dell'antica Roma (faceva tra l'altro anche un bel fresco li' dentro), con una platea di sedie disposte a ferro di cavallo, dove gia' erano seduti un buon numero d'invitati pronti ad ascoltare Lauretta.
Si' Lauretta, che gia' stava seduta pronta per il suo intervento, vicino ad un grande pianoforte, che dava un tocco teatrale a tutto l'insieme.
Una volta che la platea e' stata riempita, Oreste, l'amico dell'e-mail di cui sopra, che e' anche giornalista, induce Lauretta a raccontare la sua esperienza. Si crea subito un silenzio ed un'attenzione particolare e la donna comincia a raccontare.
Lauretta voleva fare la professoressa di filosofia ed aveva chiesto ad un prelato un aiuto per trovare una cattedra o una supplenza, ma il caso volle altrimenti. Comincio' a scrivere fiabe per bambini e fu incoraggiata a proseguire in questa attivita' ed allora addio filosofia...
Dato che era brava a scrivere fiabe, si sentiva capace, ed aveva una voce molto suadente, anche a raccontarle. Quindi chiese di poterle raccontare ai bambini in ospedale, per alleviargli le sofferenze. Ma la strada doveva presentarsi in salita, perche' le assegnarono al Policlinico di Roma, il reparto di oncologia, dove un certo numero di bambini versava in condizioni molto critiche di salute ed una parte di questi non aveva grandi speranze di sopravvivere, tanto il male era avanzato.

Li', Lauretta apprese la gioia del donare nella sofferenza e questo la fortificava sempre di piu'. Era giovane ed aveva poco piu' di venti-ventidue anni. Ma di questo sforzo era ripagata dai bambini stessi, che hanno uno spirito che non si deprime mai, che vogliono sempre giocare, fare tante cose. purche' si facciano, ascoltare fatti dai grandi incessantemente.
In questa esperienza ci sono state tante situazioni gioiose e tristi che ha incontrato, ma non si e' mai fermata. Aveva i suoi bambini e le sue nuove favole da scrivere e finora, dopo quarant'anni d'esperienza, ne ha scritte parecchie.
In questo arco di anni ha amato parecchio, ma ha anche ricevuto amore, perche' i bambini l'hanno sempre considerata una madre, una sorella od una compagna di giochi.
E quanti dolori, quanti ne ha visti morire! Proprio per questo era sempre sul punto di smettere con questa attivita', perche' le recava troppo dolore troppa tristezza la morte di un bambino. Ma poi non so come, trovava sempre la forza per ricominciare e non gettare mai la spugna.
Le sue favole sono abbastanza note e godono anche di una tiratura discreta nelle librerie e sono firmate come Laura o Lauretta Perassi.
Per completare il quadro di questa persona, segue un articolo del mio amico Oreste ed infine una sua breve favola, ma molto significativa.
(Paolo Carlizza)


Lauretta e il dolore innocente.

25-05-2006 di Oreste Paliotti

Alloggia in un austero pensionato religioso, ma basta varcare una porta - come l'armadio di C. S. Lewis che ti introduce nel mondo fantastico di Narnia - ed entri in un ambiente luminoso, allegro e colorato. È il regno di Lauretta, quasi una fatina capace di trasformare un punto interrogativo in esclamativo, come nell'ultima sua favola pubblicata nella nostra Fantasilandia. Minuta, sorridente, vivacissima, corrisponde perfettamente a questi versi che una bambina di quattro anni le ha dedicato: Lauretta è come un pesciolino/oggi vestita di rosa, domani di turchino./ Lauretta è come un uccellino/ che vola di stanza in stanza e chiama ogni bambino.... Mi guardo intorno come Alice nel paese delle meraviglie. La camera è zeppa di peluches, di angioletti e di altri angeli: le foto dei suoi piccoli amici. E poi libri e libri: favole ovviamente, ma anche Sacra Scrittura, dottori della Chiesa come sant'Agostino, filosofi come Kierkegaard, scrittori e poeti come Péguy, Tagore, Saint-Exupéry... Sono nata a Stresa, sul Lago Maggiore, ma da dodici anni vivo a Roma, città che amo moltissimo: cambiare ambiente ed abitudini è risultato molto stimolante per me in quanto scrittrice. Infatti nel solo primo anno qui nella capitale ho scritto un'intera raccolta di favole: Bambina Speranza, edita da Gribaudi. Da allora sono già una dozzina le tue pubblicazioni.Ma come è nata Lauretta scrittrice? È stato per caso. Ero orientata infatti all'insegnamento. Studentessa di lettere e filosofia alla Cattolica di Milano, nel 1983 avevo chiesto un colloquio a padre Raniero Cantalamessa, mio professo- re di Storia delle origini cristiane, ma a causa della mia estrema timidezza avevo pensato di spiegarmi per lettera. Quando però mi sono trovata davanti quel foglio bianco, è successa una cosa strana: ho cominciato a scrivere C'era una volta una rosellina.... Naturalmente dietro questa rosellina mi nascondevo io con i miei sentimenti, le mie domande. La cosa ha funzionato: padre Cantalamessa ha capito e mi ha dato le risposte che mi aspettavo. Non solo, ma osservando che avevo un talento mi ha incoraggiata a scrivere. Le favole poi mi hanno aperto una seconda strada, quella del volontariato in ospedale. Nei primi mesi a Roma non conoscevo ancora nessuno e un giorno ho pensato di andarle a leggere ai bambini in ospedale. Il cappellano del Policlinico Umberto I al quale mi sono rivolta per telefono mi ha risposto di sì, che potevo farlo, ma in Oncologia pediatrica. Era l'ultimo posto dove avrei voluto mettere piede, in quanto tutti e due i miei genitori erano morti di cancro.Ma al tono risoluto del cappellano non ho saputo tirarmi indietro. Il giorno in cui ho messo piede in quel reparto, la paura mi è passata vedendo Mariachiara: una bambina bellissima, malgrado la testolina segnata da una cicatrice che andava da un orecchio all'altro. A me, che colleziono cerchietti per i capelli, è sembrato il cerchietto più originale mai visto! E così lei ha addolcito il mio primo impatto con la dura realtà dell'ospedale. Mariachiara mi ha dato lezioni di pazienza, di eroismo e di fede, e così pure tanti altri piccoli ammalati come lei. Vedo qui tante foto: i tuoi piccoli amici dell'Oncologia... Sono ormai ben oltre il centinaio quelli che ho seguito finora. Io considero questa la grazia più grande e più faticosa ricevuta dal Signore. Subito dopo che Mariachiara ha lasciato questa terra, ho sentito l'impulso di scriverle una letterina. Da allora mi è venuto spontaneo indirizzarne una ad ogni bimbo andato in Cielo: soprattutto per non dimenticare le loro preziose lezioni di vita. Così è nata la raccolta Noi giocheremo in eterno, titolo preso da una profezia di Zaccaria che dice: Gerusalemme formicolerà di fanciulli e di fanciulle che giocheranno sulle sue piazze. È come se tutti questi piccoli mi abbiano dato appuntamento in Paradiso, e immagino che il giorno in cui arriverò lì si metteranno a gridare: Lauretta, finalmente! Finalmente riprendiamo a giocare!. Cosa ha suscitato in te questo contatto col dolore innocente? Non posso dire certo di essermi data delle risposte; so solo che mi devo fermare davanti a questo mistero. Preferisco raccontarti un'esperienza: mentre stavo nella sala giochi del Policlinico, Giuseppe, 14 anni (aveva un sarcoma e negli ultimi tempi la morfina non bastava più a calmargli i dolori), mi ha mandata a chiamare. L'ho trovato seduto sul letto con un flauto tra le mani. Sai, ho imparato la Primavera di Vivaldi e te la voglio far sentire. Ha cominciato a suonare, ma io di quella musica non ho sentito una nota sola, troppo presa a guardare la primavera che risplendeva nei suoi occhi. Quando ora leggo il vangelo della Trasfigurazione di Gesù non posso fare a meno di pensare a Giuseppe, quella sera, a quel suo viso reso pulito, trasparente, da un arduo cammino di accettazione. Una delle ultime sere, ha indugiato a lungo a farmi ciao, ciao! con la mano. Entrambi sapevamo che era un addio. In strada, un pensiero: Signore, io non capisco cos'è la sofferenza, tanto meno quella dei bambini; ma se quella accettata produce questi frutti, io ti prometto che mai più la maledirò.... A differenza poi dei loro genitori, che spesso hanno scatti di rabbia, di ribellione contro Dio, i bambini non hanno atteggiamenti del genere. Penso a Marianeve, 7 anni. Stavamo disegnando, quando lei all'improvviso mi ha detto con grande impeto: Sai, Lauretta, io sono sicura che Gesù mi guarisce!. Poi s'è rivolta alla mamma: Vero, mamma, che Gesù mi gua- risce?. Ho visto il viso di lei irrigidirsi; poi, con voce estremamente dura: Nevina, se Dio voleva fare qualcosa, non ti avrebbe fatta ammalare!. Al che la bambina, senza scomporsi: Ma mamma, Dio non le fa queste cose, è il diavolo che le fa!. Perché nella loro semplicità i bambini ragionano così: Dio è buono, non può fare il male; il male quindi può venire solo dal diavolo. E a me è venuto in mente il salmo: Beato l'uomo che non imputa a Dio alcun male. Ma che effetto fanno queste favole ai bambini? Non di rado si identificano nella storia. È il caso di Mariachiara alla quale avevo letto la favola di Origami: una bambina ha costruito un fiore di carta così bello che sembra vero, per cui le viene naturale metterlo dentro un vasetto con dell'acqua. Origami, che si sente anche lui vero, gode della luce del sole, del profumo degli altri fiori. Finché un giorno la mamma della bambina, temendo che nell'acqua quel fiore di carta possa sciuparsi, lo poggia sulla scrivania. Ma a questo punto, fuori dall'elemento vitale, lui comincia a star male... Arrivata alla frase Il fiore sentì venir meno le sue forze, allora raccolse i petali intorno a sé e non pensò più a niente, Mariachiara che ascoltava con grande attenzione mi ha fermata:Ma allora Origami sono io!. A quel punto ho capito di avere in mano uno strumento per parlare con i bambini di pensieri e paure che non osano esprimere agli adulti perché sono coscienti che loro non dicono sempre la verità. E come vengono accolte dagli adulti le tue favole? Le apprezzano anche loro, forse perché trasfigurare la realtà è un modo per comprenderla meglio. So di tanti che le leggono prima di addormentarsi, mentre altri le usano per la catechesi (in fondo richiamano un po' le parabole evangeliche). Io stessa tengo degli incontri nelle parrocchie e nelle scuole: la lettura di una favola diventa il punto di partenza per arrivare a spiegare la parola di Dio. Un po' in controtendenza rispetto al mondo d'oggi che privilegia l'immagine... È vero. Io però credo fermamente nel potere evocativo della parola. Sempre, infatti, quando incomincio a leggere una favola, i bambini mi ascoltano incantati. Gianfranco Restelli LA NOTTE DI DIO Una favola nata in ospedale. Un giorno, all'inizio del mondo, l'uomo si presentò davanti a Dio per chiedergli di far sparire il dolore dalla faccia della terra. L'uomo aveva un figlio ammalato e non poteva sopportare di vederlo soffrire così. Il dolore è quanto di più ingiusto tu abbia mai creato sulla terra disse con voce dura. Dio spalancò gli occhi per la sorpresa e rispose pacatamente: Figlio mio, io non posso proprio fare niente. Non l'ho creato io, il dolore. Nel mondo, così com'era uscito dalle mie mani, esso non c'era. Ne sono ben sicuro perché, quando ho contemplato tutto quello che avevo creato, ho visto che tutto era buono. Stai attento a non attribuire a me quello che hai fatto tu. Sei tu che hai introdotto il disordine, e di conseguenza il dolore, nel mondo. L'uomo chinò il capo confuso, farfugliò qualche parola dalla quale si capiva che, in fondo, sì, ammetteva di avere qualche colpa, ma ciononostante rinnovò la sua richiesta, tra le lacrime: Se non vuoi farlo per me, fallo almeno per mio figlio! Lui non ha colpa alcuna, non è giusto che soffra così. Dio ebbe compassione del pianto dell'uomo e rispose: Va', figlio mio, va' in pace, ché qualcosa posso fare. Va' a dormire tranquillo e torna da me domani. Dio rimase solo e, nella notte, nella solitudine immensa del creato addormentato, giunse le mani come una coppa e vi raccolse tutto il dolore del mondo. Poi si portò quella coppa alle labbra e la bevve, fino alla feccia. Il dolore gli straziò le carni, gli penetrò fino in fondo nel cuore. Nel cuore di Dio si svolse una lotta tremenda, tra il dolore e l'amore. Dio si sentì venire meno e pianse. Il cuore divino divenne come una grande tinozza, colma di lacrime che lavarono il dolore, lo purificarono, gli tolsero ogni bruttura. La mattina dopo, quando l'uomo tornò da Dio, si spaventò nel vederlo così pallido, così provato, ma non gli chiese nulla, preferiva non sapere quello che era successo. Dio parlò al dolore, in presenza dell'uomo, e gli disse: Va', figlio mio, torna sulla terra, non più segno di maledizione, ma di benedizione perché io ti concedo il potere di purificare il cuore dell'uomo cosicché, chi ti accoglierà nel mio nome, possa diventare una creatura nuova, primizia di una nuova creazione. Poi parlò all'uomo e gli disse: D'ora in poi, non ti domandare più il perché del dolore, ma guardane i frutti.

(da Noi giocheremo in eterno, Ancora 2000)

Vincenzino e Mohamed sono due bambini reali, che sono esistiti, conosciuti da Lauretta, in un periodo del suo volontariato in ospedale.
Prima in ospedale c'era solo Vincenzino, un bambino calabrese, che e' stato raggiunto dopo qualche tempo da Mohamed, proveniente dall'Iran.
Pur essendo di fede diversa i due diventano inseparabili amci per la pelle e nelle loro azioni quotidiane sono sempre insieme. Dove era l'uno, c'era l'altro, non li vedevi mai da soli o separati.
Purtroppo soffrivano di gravi mali ed erano destinati col tempo a soccombere, ma la cosa piu' straordinaria di questa esperienza e' che in realta', sono morti a tre ore di distanza l'uno dall'altro.
Lauretta nel suo grande dolore, dedica loro una magnifica favola di non molte parole, ma molto significativa e immagina che dopo la loro morte stanno camminando nell'aldila' diretti verso il Grande Trono, dove e' assiso il Creatore...
"Il nome di Dio" di Lauretta Perassi.

— Sei pronto, Vincenzino?— chiese con voce dolcissima l'Angelo che era entrato in quel mo­mento nella stanza del bimbo, all'ospedale.
— Sì! — rispose il bambino e aggiunse: Andiamo da Dio, vero?
L'angelo assentì col capo. Vincenzino mise fidu­cioso la sua manina in quella dell'angelo. Insie­me lasciarono l'ospedale, la città addormentata sotto una coltre di stelle, la terra verde azzurra e si inoltrarono lungo le vie del ciclo, scintillanti di luce. Il bimbo saltellava al fianco dell'angelo, quando, all'improvviso, si sentì chiamare:
— Vincenzino, dove vai? Aspettami! Si voltò indietro e vide venire verso di lui il suo amichetto Mohamed, compagno di tanti giochi, là in ospedale. Anche Mohamed era affiancato da un angelo che indossava una veste candida, stretta in vita da una fascia d'oro.
Sapendo che Mohamed era venuto da lontano per curarsi e che era in ospedale solo con il papa, Vin­cenzino domandò:
— L'hai detto al tuo papa?
— No, l'ho lasciato inginocchiato sul tappeto del­la preghiera. M'è sembrato il momento migliore, per partire. Sonò sicuro che Allah saprà consolar­lo, dettargli le risposte giuste in fondo al cuore.
— Allah? — domandò Vincenzino con stupore — E chi è Allah?--.
Mohamed scoppiò in una risata. Quella risata ar­gentina che lo contraddistingueva e che gli faceva brillare i grandi Occhi scuri.
— Allah è Dio!
— No, Dio si chiama Trinità — ribattè Vincenzi­no — Ne sono sicuro perché me l'ha detto mio padre.
— Anch'io sono sicuro che si chiama Allah, me l'ha detto mio padre — disse Mohamed. Poiché l'autorità di un papa non si mette in di­scussione, i due bambini dovettero concludere:
— Ma allora il tuo Dio non è uguale al mio!
— Questo vuoi dire che gli angeli non ci stanno portando dalla stessa parte!_— realizzò in un istante Vincenzino è aggiunse: Io non voglio ve­dere là Trinità, senza di te!
— Neppure io voglio vedere Allah, senza di te! Per fortuna, gli angeli stavano conversando ami­chevolmente tra di loro. Un'occhiata d'intesa pas­sò tra i due bambini che fecero dietrofront e si na­scosero in mezzo a un banco di nuvole.
— Adesso dobbiamo cercare un posto dove stare insieme — disse Mohamed. Mano nella mano, il piccolo musulmano e il pic­colo cattolico si incamminarono su una strada la stricata di turchesi.
Cammina cammina arrivarono in vista di una città le cui porte erano di zaffiro e di smeraldo, le mu­ra di pietre preziose e le torri di oro purissimo.
— Quella èia casa di Dio! — esclamò Vincenzi­no. Del mio Dio — precisò poi.
— No, quella è la pasa del mio Dio — disse con­vinto Mohamed.
— Ma se è come quella del racconto della Bibbia che mi leggeva la nonna a casa, la sera! — disse Vincenzino, quasi piagnucolando.
— Non è possibile, guarda: ci sono due giardini con frutta, palme e melegrane. E anche due fonti zampillanti: è tutto proprio com'è decritto nel li­bro del Corano.
— Scommetti che è la casa del mio Dio? — disse Vincenzino.
— Scommetti che è la casa del mio Dio? — disse Mohamed.
Così dicendo, i due bambini corsero verso 1' in­gresso principale davanti al quale stavano due Angeli, in candide vesti.
— Abita qui la Trinità? — domandò Vincenzino.
— Sì — rispose uno dei due angeli, sorridendo. Per nulla convinto, Mohamed domandò:
— Abita qui Allah?
— Sì — rispose l'altro angelo, con un identico sorriso.
— Andiamo a vedere di persona — disse Moha­med, che era un tipo pratico. Forse il tuo Dio e il mio Dio abitano nella stessa casa. Con grandissimo stupore, Vincenzino e Mohamed dovettero constatare che c'era un solo Dio, sedu­to sul suo trono sfavillante di luce.
—— Tu sei Trinità? — domandò il piccolo cattolico.
— Sì, lo sono.
— Tu sei Allah? — domandò il piccolo musul­mano;
— Sì, lo sono.
— Ma allora hai due nomi! — constatarono i bambini, stupefatti.
— Non solo due, ne ho molti di più! — disse Dio, divertito — Mi chiamano persino Caso, Natura, ma sono sempre io !
— Senti — disse Mohamed, il tipo pratico — non si potrebbe chiamarti con un nome solo, visto che tu sei solo Uno? Così, tanto per non fare confu­sione.
— Chiamatemi Amore — disse Dio, stringendo­ si al petto il piccolo cattolico e il piccolo musul­mano.

giovedì 4 giugno 2009

LA CARITA' PULSA NEL CUORE DI ROMA.

I personaggi principali di questa vicenda di carita' umana sono tanti ma ne nominerei solamente due, Dino Impagliazzo, in primis, l'Imperatore della Carita' ed Edoardo Lagana', assieme alle proprie mogli Fernanda e Marisa.
Dino ed Edoardo, vorrei puntualizzare, sono due ottimi miei amici e tutti e tre facciamo parte del Movimento dei Focolari, fondato dalla mai dimenticata Chiara Lubich.
Da due anni loro due, con l'aiuto di altri volontari, stanno letteralmente sfamando un gruppo d'indigenti, che bivaccano nelle stazioni ferroviarie, specialmente la Tuscolana, cucinando i pasti (un buon primo, un secondo o dei panini, frutta e qualche volta dolce, caffe', the e vino, per non parlare a Natale ed a Pasqua, quanta grazia di Dio viene distribuita). Ed il tutto si svolge all'aperto, dietro una transenna, dove i poveri si mettono in fila, per avere il dovuto.
Due anni fa, all'inizio dell'attivita' , "Il Messaggero" si occupo' di questa vicenda, scrivendo l'articolo riportato di seguito. Ma non solo i giornali posero l'attenzione su questo gruppo, supportato anche dalla Confraternita della Misericordia, ma anche Rai 2 e Rai 3, mandarono in onda esaurienti servizi nel corso della cronaca romana dei loro telegiornali.
L'attivita' in due anni si e' allargata al punto tale, da coinvolgere altre parrocchie della zona del Tuscolano, specialmente S. Antonio da Padova in Circonvallazione Appia e S. Antonio da Padova in piazza Asti. Quest'ultima ha messo a disposizione per un certo tempo le cucine dei Padri Rogazionisti, che ivi sono residenti, la prima dei locali dove riporre la gran quantita' di alimenti che arrivano da diverse parti. Per esempio la Todis di Fiano Romano, assicura periodicamente ingenti quantita' di prodotti alimentari, che non vende piu', ma in ottimo stato di conservazione.
In ultimo, una parrocchia in via Narni, dedicata al S. Cuore, ha messo a disposizione dei locali, dove imbastire mense provvisorie dalle 20:30 alle 21:15 della domenica sera e cosi' queste persone beneficiate possono consumare un pasto al coperto, specialmente nei giorni in cui il tempo non e' buono.
Questo vuole essere un mio regalo personale a questi personaggi coraggiosi, che d'inverno sfidano anche l'intemperie e talvolta, loro malgrado sono coinvolti di tanto in tanto in piccole risse da sedare. Ci vuole cuore, fegato e tanto Spirito.
Infine annuncio che Edoardo e sua moglie Marisa stanno probabilmente preparando un sito o un blog, tutto incentrato sull'attivita' della Stazione Tuscolana, dove verranno inseriti articoli, novita' ed altre informazioni.
Le mie piu' sincere congratulazioni!
(Paolo Carlizza, giu 09).

Commento di Paolo Carlizza nel maggio 2007.
Dino e' un mio caro amico. Da lui e' partita l'idea di organizzare cene la domenica sera per i barboni alla Stazione Tuscolana. Di questo progetto ne sentivo parlare via via che prendeva corpo, nelle nostre riunioni settimanali. In tre settimane l'iniziativa, dopo un decollo iniziale abbastanza soddisfacente, ha avuto un'esplosione di successo inaudita.Tant'e' vero che e' stata segnalata dal Messaggero in Cronaca di Roma di oggi. Bravi tutti i collaboratori, ma l'appellativo di GRANDE, Dino se lo merita, anche considerando che non e' piu' un giovincello di primo pelo. Senza impegno, mi chiedo se volessimo eventualmente contribuire pure noi, inviando o qualche soldo o fare panini oppure ancora vogliamo impegnarci in qualche modo in loco: l'impegno e' aperto a tutti e potrebbe essere anche un'esperienza interessante ed al piu' potrebbero nascere anche rapporti nuovi con persone che non immagineremmo mai di conoscere. Saluti a tutti.


Da "Il Messaggero" del 20 marzo 2007.

Ogni sera alla Stazione Tuscolana viene servito un pasto caldo ai poveri.Era rimasta scoperta la domenica, un gruppo di abitanti dell’Appio- Tuscolano si è offerto di cucinare. Ai panini pensano altre famiglie.

Sono pensionati ma anche giovani: passano ore in cucina per poter sfamare e servire barboni e indigenti.





Dice: DINO, 77 ANNI ( a sinistra nella foto sopra, con Mino, un suo vicino di casa).
“Ho preparato la classica pasta e fagioli romana, ma la prossima volta ne faccio di più. C’è una molla che mi porta sempre dove c’è bisogno”.


Dice :ANGELA, 61 ANNI .
“Non avevo mai cucinato per 100 persone, ma che soddisfazione. Sono creature a cui voler bene . Più utile essere qui, che pensare a se stessi “.




Volontari al lavoro.



«Che mi puoi fare 20 panini?». Dino l’ha chiesto a Mino, il vicino di casa. Funziona così, più banale di quanto uno s’immagini. Perché la domenica era scoperta. Come se i poveri la domenica non mangiassero. Ora non più, ora alla Stazione Tuscolana anche quel giorno c’è un pasto caldo per chi ne ha bisogno.E’ un gruppo misto, per lo più privati cittadini, quello che da quattro settimane si occupa di portare ogni domenica del cibo a barboni, senzatetto, senza niente, disgraziati metropolitani. Si sono offerti di aiutare anche i ragazzi della Misericordia di Roma, un’associazione nata da poco, con le loro divise celesti e gialle, ci sono i giovani delle parrocchie Santissimo Corpo e Sangue di Cristo e Santa Caterina, anonimi abitanti del quartiere Appio-Tuscolano.Cinque coppie italiane a turno cucinano il primo piatto. Molte altre le persone disposte a far panini, almeno 20 a famiglia, in modo da arrivare a 120/140. Domenica scorsa toccava a Dino Impagliazzo, 77 anni, ex dirigente Inps. E’ arrivato con due pentoloni grandi così: «Ho cucinato la classica pasta e fagioli romana. Patate, carote, odori vari». Mentre parla, i commensali (in realtà mangiano in piedi, al massimo appoggiano il piatto sulle selle e i bauletti dei motorini parcheggiati davanti alla stazione Tuscolana) rifanno il giro, si rimettono in fila per avere un altro piatto, «perché la fame è fame», dice un volontario comprensivo, «e allora la prossima volta gliene facciamo un po’ di più», promette Dino.Questa volta la signora Angela ha fatto solo il tè, ma la pasta al ragù della domenica precedente ancora se la ricordano nel piazzale della stazione. «Non avevo mai cucinato per 100 persone, io e mio marito siamo stati dalle quattro all’una di notte a tagliare odori e cuocere il ragù. Ma quanti complimenti, che soddisfazione, dopo tanta fatica...».Annamaria Roccatano, la moglie di Mino De Napoli, ha passato tutto il pomeriggio ai fornelli, a preparare frittate di zucchine, patate e carciofi, da mettere nei panini. Adesso dà una mano ai volontari, tiene il piatto, passa le posate. In fila ci saranno un centinaio di persone, il pasto viene consumato in silenzio, tra imbarazzo e dignità. Ognuno si è aggiustato in un angolo, ma certo la situazione
non è delle più comode. Manca tutto, c’è solo l’entusiasmo di certa gente. Alle nove è tutto finito, i poveri scompaiono nella notte, i volontari tornano a casa alla spicciolata, dopo essersi messi d’accordo sui prossimi panini da preparare, su come nutrire quel rumeno che ha perso i denti, su dove trovare una sistemazione per Gianni, una visita specialistica a Luisa.«Credo che ogni persona in difficoltà abbia bisogno dell’aiuto dell’altro. E’ la molla che mi fa sempre trovare in situazioni di bisogno», spiega Dino, semplicemente. Meno male che c’è questa “molla”, meno male che nel silenzio indolente e disincantato della domenica sera romana, certe persone sono sotto la pioggia, con un tegame in mano, a distribuire cibo, consigli, pacche sulle spalle. La signora Angela, 61 anni, ex assicuratrice in pensione dagli occhi chiari e buoni, è rimasta fino alla fine, fino a quando l’ultimo poveraccio non si è incamminato chissà dove. «Sono creature a cui voler bene. Piuttosto che starsene tranquilli a casa, a pensare alle nostre comodità, credo che nella vita valga la pena aiutare gli altri. E’ più utile per tutti». A Dino e Mino questa sera è venuta un’idea: «Basterebbero sei panini a famiglia, mettiamo un cartello nella bacheca del nostro condominio di via Imera: chi vuole partecipa». E’ scattata la “molla”, e sembra contagiosa.
Cinque coppie a turno cucinano il primo, altri fanno i paniniSi mangia in piedi, in silenzio e c’è chi fa il bis.





Anche la Confraternita della Misericordia da’ una mano.

La Confraternita della Misericordia risale al 1200, è dunque il più antico movimento di volontari che c’è in Italia. E’ nata a Firenze, ma ora ha sedi in ogni parte del Paese. Molte quelle presenti anche a Roma. L’ultima nata, a settembre 2006 (ancora non ha una sede, si appoggia alla parrocchia del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo) è all’Appio-Tuscolano. «Siamo 45 persone, per lo più studenti universitari - spiega Valerio Esposito, 26 anni, che a breve si laureerà in Scienze applicate ai beni culturali - che cerchiamo di aiutare le persone in difficoltà». I campi di azione sono sanità, sociale e protezione civile. La sede è in via Narni, angolo via Assisi, aperta il giovedì dalle 19 alle 22,30 e il sabato dalle 16 alle 19. Per informazioni, telefonare al 329/6005060. Nuovi volontari di ogni età sono ben graditi.



Una piccola formazione della Confraternita della Misericordia.

martedì 12 maggio 2009

Diario di una famiglia dopo il terremoto

A chi capita di leggere quotidianamente "La Repubblica" , in cronaca, c'e' una rubrica curata dalla giornalista Jenner Meletti, dove viene descritta la vita quotidiana di una famiglia che vive in una tendopoli, in seguito al devastante terremoto dell'Aquila del 6 aprile scorso.
Ho preferito prendere e riportare in questa sede un brano dedicato ai bambini, per far capire quanto talvolta e' difficile recuperare le situazioni precedenti nelle persone coinvolte, in questa drammatica avventura della loro vita, dove una gran parte di loro ha perso i propri cari, i propri beni e addirittura la casa.
Ma nonostante tutte le difficolta' la vita riprende proprio da queste forze fresche, che saranno tra qualche anno il futuro di quelle terre.


La filastrocca del terremoto e il bernoccolo del gatto.

L'AQUILA - Non ci sono soltanto girotondi e canzoncine, alle feste dei bambini sfollati per terremoto. "I piccoli - dice Cristina, che lavora come animatrice volontaria - hanno subìto un grave trauma. Ora vivono nelle tende o negli hotel della costa e hanno perso tanti punti di riferimento: la casa, la scuola, gli amici... Non sempre riescono a parlare di ciò che è successo. La festa serve a incontrare altri bimbi e anche a parlare di quel trauma che si portano dentro". Ecco allora la "Filastrocca del terremoto", preparata da un gruppo di psicologi e consegnata alle maestre di asili e scuole elementari e alle animatrici delle feste. Si legge la filastrocca, poi si chiedono i commenti ai bambini, con le parole o con un disegno. Ma prima di tutto, c'è un prologo che cerca di spiegare perché, ogni tanto, la terra si mette a tremare. "Proprio mentre stavamo dormendo, ecco il terremoto". "Ma i terremoti sono proprio così, capitano quanto meno te lo aspetti". "Ma cosa è successo alla nostra terra?". "Ah, scusate, ancora non mi sono presentato: sono Trombetta". "E io sono Prof. Pof e ho deciso che bisogna informarsi meglio su questi terremoti". "Beh, il mio uovo sodo rotto ci può aiutare a spiegare come fa la terra a muoversi". "Grazie Trombetta. Fate finta che anche la Terra sia un uovo sodo... La crosta che forma i continenti e il fondo marino è rotta in vari pezzi. Questi enormi pezzi si chiamano placche. Al centro c'è un nucleo duro e molto, molto caldo". "E la parte bianca dell'uovo che cos'è?". "Si chiama mantello, ed è uno strato di roccia incandescente. Sopra questo mantello poggiano le placche con i continenti e i mari. Il calore provoca dei movimenti dentro il mantello, così anche le placche si muovono". "Quindi è come se la nostra Terra ballasse un po'?". "Proprio così... E un forte terremoto, accidenti a lui, provoca dei danni che spesso provocano altri danni". "Come faccio io, Prof Pof". "Esatto, Trombetta. E io sono molto calmo con te, e non perdo la testa... Certo, mi fa un po' paura ma resto calmo". "Quindi mi vuoi dire che avere paura del terremoto è normale e che bisogna rimanere calmi". "Proprio così, Trombetta. E ora puoi raccontare la nostra filastrocca su cosa bisogna fare se arriva il terremoto?". "Certo, Prof. Pof. Con vero piacere". A questo punto - racconta Cristina - l'attenzione dei bambini è catturata. Non resta che presentare il protagonista della filastrocca, un gatto davvero speciale. "Cari bambini e bambine, conoscete Gatto Spillo? E' un gatto molto speciale: va a scuola, gli piace studiare e colorare e sa anche leggere. Perciò, quando succede qualcosa di strano, come una scossa di terremoto che fa muovere e cadere ogni cosa, capisce subito cosa deve fare. Basta poco per sapere come comportarsi se arriva il terremoto". IN CASA BOLLE BOLLE IL MINESTRONE IN TV C'E' UN BEL CARTONE. TUTTO E' CALMO, STAMATTINA IN SALOTTO ED IN CUCINA MARCO ADESSO STA PER BERE UN FRULLATO NEL BICCHIERE MENTRE ANNA, LI' VICINO STA LEGGENDO UN GIORNALINO. SUL DIVANO GATTO SPILLO DORME, RUSSA E STA TRANQUILLO. MA AD UN TRATTO C'E' LA SCOSSA , FORTE FORTE GROSSA GROSSA. IN CUCINA ED IN SALOTTO GIA' SUCCEDE UN QUARANTOTTO BALLA LA TELEVISIONE, SUL FORNELLO IL MINESTRONE IL BICCHIERE DI FRULLATO SUL PIGIAMA SI E ' VERSATO E UN LIBRO, MAMMA MIA, CADE DALLA LIBRERIA MA OGNI BIMBO BRAVO E SAGGIO NON SI PERDE DI CORAGGIO E SA FARE, CALMO E LESTO OGNI COSA BENE E PRESTO. SOTTO AL TAVOLO IN CUCINA SI RIFUGIA LA BAMBINA. D'IMPROVVISO A SPILLO GATTO CADE IN TESTA UN BEL RITRATTO. FILA MARCO (MOSSA ACCORTA) SOTTO L'ARCO DELLA PORTA. PER NON FARE CONFUSIONE SPILLO LEGGE UN RIASSUNTONE Ed ecco il riassuntone delle raccomandazioni. "SE SEI IN CASA". "ALLONTANATI DA MENSOLE, ARMADI, LAMPADE: POSSONO CADERTI ADDOSSO. STA LONTANO DAI FORNELLI: UNA PENTOLA SI PUO' ROVESCIARE NON SALIRE, NON SCENDERE DALLE SCALE: POSSONO CROLLARE. NON USARE MAI L'ASCENSORE: PUO' BLOCCARSI. RIPARATI SOTTO IL TAVOLO. RIPARATI NEL VANO DALLA PORTA". LEGGE E IMPARA GATTO SPILLO E SI SENTE PIU' TRANQUILLO. ED OGNI BIMBO BRAVO E SAGGIO NON SI PERDE DI CORAGGIO E SA FARE, CALMO E LESTO, CON L'AIUTO DEL SUO INGEGNO... UN BELLISSIMO DISEGNO!". Per fortuna, grazie all'aiuto di tanti volontari, carta e pennarelli non mancano. "Il disegno - dice Cristina- serve a comprendere le reazioni dei bimbi. C'è chi disegna il Gatto Spillo su un prato, tutto felice. Questo significa che ancora nega l'evento del terremoto. C'è chi disegna il Gatto senza bocca, a fianco di un quadro rotto e così manda a dire che anche lui è senza bocca, non vuol parlare di quella notte. Tanti però disegnano Gatto Spillo con un bernoccolo in testa, dentro una casina che è proprio uguale alla tenda dove i bimbi vivono oggi. E' un buon inizio. Il bimbo accetta la realtà, vede un futuro. Ma oltre questi tentativi di ascolto e terapia non riusciamo ad andare. I consultori sono distrutti dal terremoto, è impossibile avviare terapie individuali. Almeno abbiamo un luogo dove i piccoli possono parlare di ciò che si portano dentro".
Jenner Meletti - 11 maggio 2009

venerdì 6 febbraio 2009

Nel dolore e la desolazione nella striscia di Gaza penetra anche un fascio di luce divina.

Mi permetto d'inserire un brano molto interessante, che e' stato scritto da un non ebreo, in visita alla striscia di Gaza, con considerazioni abbastanza lucide.
Io,Paolo, aggiungo solo, che andai ad Askelon e Beer-Sheva e a visitare un kibbutz nel 1986 con un gruppo, con cui feci il giro di tutto Israele e la situazione allora era totalmente diversa: non c'era distruzione ed aleggiava ancora una parvenza di pace.
Concludo che l'uomo nella sua cecita' ed incoscienza si diverte periodicamente a distruggere cio' che di bello crea.
Pero' anche una considerazione ottimistica: come nella seconda guerra mondiale, in mezzo allo sfacelo ci furono personaggi e gruppi, con grande volonta' rianimatrice (vedi Padre Kolbe, tanto per citarne uno tra i tanti esempi di grande umanita'), anche qui c'e' la presenza dell'Amore di Dio, grazie a tante persone di buon cuore e un grande spirito di abnegazione.
Di seguito l'interessantissimo articolo.


Sono stato in Israele per 3 giorni, al confine con la Striscia di Gaza, in missione come osservatore per conto del PDL e assieme ad uno stimato collega del PD, l'On. Gianni Vernetti.
Vi voglio raccontare le mie impressioni, le mie emozioni e il mio stato d'animo per farvi capire che cosa si prova a visitare i luoghi dove in questo momento gli occhi del mondo sono puntati.
La guerra, come sapete, per il momento è finita. Israele unilateralmente ha offerto la tregua e si è ritirata dai territori palestinesi dopo aver inferto una dura lezione militare ad Hamas. Una lezione che i terroristi ricorderanno a lungo, anche se difficilmente cambieranno il loro atteggiamento tant'è che, appena è iniziata la tregua, hanno gambizzato, cavato gli occhi, torturato e ucciso molti palestinesi moderati perchè colpevoli di ricercare la pace con Israele.
Ma torniamo alla cronaca. Arriviamo martedì 20 gennaio ad Ashkelon, nel sud d'Israele e in albergo ci danno le istruzioni nel caso di attacco missilistico: " i rifugi sono nei piani 1, 4, 5 e 6 ma anche le scale, dicono le note, sono ben protette. Se invece si è fuori bisogna distendersi per terra con le mani a protezione della testa ". Come inizio non c'è male!
Anche la visita della casa municipale di Ashkelon ricalca le prime impressioni. La stanza del Sindaco e del suo staff è in un sotterraneo disadorno in cemento armato. D'altronde in quale altro modo si potrebbe gestire un comune di 120.000 abitanti quando negli ultimi anni sono piovuti migliaia di missili in tutta l'area? Per tutti voi che leggete, sappiate che ogni volta che da Gaza viene lanciato un razzo, una sirena avverte la popolazione israeliana e da quel momento i civili hanno solo 30'' (avete letto bene, 30 secondi) per rifugiarsi nei sotterranei.
I bambini ormai non vanno a scuola con regolarità da anni. Cinque scuole sono state colpite e se le vittime sono state appena una decina è solo perché i sistemi di sicurezza e protezione sono eccezionali, ma i danni economici e psicologici sono incalcolabili.
Quasi nessuno però è emigrato, perché ciò significherebbe darla vinta ai terroristi. Questa è gente con gli attributi, ma il prezzo pagato è stato altissimo. A Sderot (3 km da Gaza city) su 6500 abitanti, quasi 5000 sono stati in cura dagli psicologi.
E chi si sorprende di questa notizia, provi ad immaginare sulla propria pelle cosa significhi passare anni e anni con le sirene che suonano, e migliaia di Qassam che ti scoppiano a due passi da te distruggendo case e affetti. Eppure quanto amore ho colto nel popolo Israeliano! Per strada la gente ti sorride, non ha perso l'ottimismo, nè la speranza per un futuro migliore.
Nella ridente città di Beer-Sheva ho visitato l'ospedale Soroka, uno fra i più belli ed efficienti che abbia mai visto in vita mia; ho visto centinaia di arabi (palestinesi e beduini) utilizzare la struttura con una naturalezza sorprendente. La professionalità e l'amore che medici e infermieri israeliani davano loro è da esempio per tanti nostri operatori sanitari che invece la parola Amore l'hanno cancellata dal loro vocabolario. Nessun sentimento diverso dalla solidarietà più autentica e generosa ho visto in loro.
In un altro incontro facciamo visita ad un Moshav (fattoria autogestita, ndr) nella regione del Negev, in pieno deserto e a pochissimi chilometri da Gaza. Vi operano 50 volontari, tutti sotto i 25 anni, che lavorano ad un progetto denominato Ayalim e da loro stessi concepito. Il progetto, mira a popolare il deserto trasformandolo in terre fertili e città ricche. Contemporaneamente gli stessi giovani, che sono le classi dirigenti future, si stanno forgiando, non solo studiando ma anche coltivando in loro stessi un alto senso di responsabilità. Pensateci un attimo! Esattamente il modello pedagogico opposto a quello italiano, che invece da anni ha smesso di investire sulle aree deboli del nostro Paese e che sta allevando una generazione futura che qualcuno ha già definito di bamboccioni
Chiudiamo giovedì incontrando il Presidente della Repubblica Israeliana Shimon Peres, alla presenza dell'ambasciatore italiano in Israele Luigi Mattiolo, dell'ex ambasciatore israeliano in Italia, il mitico Avi Pazner e dei rappresentanti della comunità ebraica italiana. Ho l'onore e il privilegio di parlare in nome e per conto del gruppo PDL della Camera. Nel mio breve discorso ricordo che nessuno può rinunciare alla difesa degli inermi, men che meno le Pubbliche Autorità che della protezione dei propri popoli e dei deboli trovano la loro ragion d'essere, ciò anche se questo può, con dolore, costare l'uso delle armi. La legittima difesa, fondata sulla verità e sulla giustizia infatti, è un diritto inviolabile e inalienabile. Concludo il mio discorso ringraziando il Presidente per quanto sta facendo Israele per la libertà del mondo; senza di loro oggi il terrorismo internazionale avrebbe invaso l'Occidente.
Il Presidente Shimon Perez ci risponde con un discorso tanto intenso quanto commovente: "Molti, nel mondo, non capiscono le ragioni di Israele, ma Israele non capisce perchè questi molti non comprendano. Cosa vuole Hamas? Cosa propone? Quindicimila coloni israeliani - spiega,- si ritirarono unilateralmente dalla Striscia di Gaza nel 2005. Lasciarono Gaza per decisione di Israele. Furono investiti miliardi dalla comunità internazionale. La Striscia era libera, così come i suoi valichi. Io stesso ho pensato che fosse una cosa giusta. E cosa e' successo dopo? E' stato costruito un sistema sotterraneo dove far passare le armi. Hamas e' giunta a lanciare missili contro di noi." Il Presidente ha continuato ricordando la presenza nefasta dell'Iran, che vuole controllare il Medio Oriente per mezzo delle " sue succursali terroristiche " Hamas ed Hezbollah. Sul conflitto ha sottolineato poi le modalità usate: gli avvisi dell'esercito israeliano ai civili mediante telefonate e biglietti. Le precauzioni per evitare quante più vittime possibili tra i civili. Il tutto esattamente al contrario di Hamas che invece i bambini e le donne li ha usati come scudi umani. "Abbiamo atteso - ha aggiunto Peres - ben otto anni prima di reagire ". E ha concluso il suo discorso ricordando la posizione dei Paesi arabi moderati, come l'Egitto, che ha condannato Hamas riconoscendo le sacrosante ragioni di Israele.
Delle sue parole capisco la grandezza di questo popolo e la sua capacità di resistere alle difficoltà, anche le più inaudite.
Sulla strada del ritorno penso a tutto quello che ho visto e capisco che l'Occidente non deve cedere, che deve continuare a difendere le proprie radici, la propria storia, la propria identità e la propria libertà. Penso che anche se in Italia le difficoltà che stiamo vivendo sono notevoli, Israele ci sta insegnando, giorno dopo giorno, che tutto si può superare se i grandi ideali sono la ragione della propria vita, sia essa individuale, sia essa come popolo.
.....E alla fine penso che i miracoli di cambiare le cose si possono realizzare. Mi aiuta in questo mio pensiero, Ben Gurion che fu il Padre fondatore dello Stato di Israele: "Un popolo che non crede nei miracoli, non è un popolo realistico! "

Alessandro Pagano

Leggendo l'Ufficio delle Letture in metropolitana.

Io, la mattina e la sera in metro ho ripreso da qualche giorno la preghiera liturgica delle ore e dato che ho ancora tempo, leggo anche l'Ufficio delle Letture, che andrebbe letto nelle ore notturne ( infatti questo fa parte della preghiera nottura dei frati in convento).
Stamani mi e' capitato un brano che e' in sintonia con i miei pensieri di questo tempo.
La Chiesa, tre secoli dopo Cristo aveva gia' perso il senso del'Eucarestia e la Messa gia' attorno all'anno Mille si riduceva addirittura alla sola Liturgia della Parola, con la sola esposizione delle Reliquie dei Santi.
L'Eucarestia la faceva solo il prete, e questo fatto fu giustificato dal Concilio di Trento, in risposta alle critiche di Martin Lutero, perche' il sacerdote la faceva per gli altri.
I principali fatti che fecero perdere la celebrazione dell'Eucarestia ( III-VI d.C.) furono:
- un ritorno ai riti del Tempio Ebraico, fatti solo di preghiere e lettura (es. la Berakah);
- un principio di "purita' legale", dove la gente si sentiva peccatrice e fuori dalla "legalita' etica", e quindi indegna di fare la comunione;
-il non volere piu' sottoporsi al sacramento della Penitenza, in quanto a quei tempi, ancora pubblica, comportava penitenze molto gravi, che riguardavano tutta la durata della vita (esclusione dalla comunita', vita ascetica forzata, con punizioni corporali continue);
-il fatto che l'orario della Messa era stato spostato dalle ore notture alle ore mattutine e nessuno voleva piu' osservare il digiuno eucaristico.
Quindi alla fine, ognuno si faceva "i propri comodi" ed il messaggio della Tradizione Apostolica fu ben presto dimenticato.
Invece Paolo aveva detto quanto segue, specialmente quanto evidenziato in grassetto.

Prima Lettura.
Dalla seconda lettera ai Tessalonicesi di san Paolo, apostolo 2, 1-17.
Il giorno del Signore, Vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui, di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente. Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l'apostasia e dovrà esser rivelato l'uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio (Dn 11, 36. 37).Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose? E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell'iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Solo allora sarà rivelato l'empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca (Gb 4, 9; Is 11; 4; Ap 19, 15. 20) e lo annienterà all'apparire della sua venuta, l'iniquo, la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l'amore della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una potenza d'inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all'iniquità.Noi però dobbiamo rendere sempre grazie a Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza, attraverso l'opera santificatrice dello Spirito e la fede nella verità, chiamandovi a questo con il nostro vangelo, per il possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo.Perciò, fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera. E lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene.